Monday, November 29, 2010
Fazio
Da quando "viene via" Fabio Fazio non è più lui
Pubblicato da Giovanni Morandi Dom, 28/11/2010 - 09:02
Tutto diventa squallidamente spettacolo, anche gli argomenti più seri, che richiederebbero non il clamore ma una silenziosa riflessione. Mi riferisco allo squallore nel vedere strumentalizzare un tema come l’eutanasia pensando solo agli indici di ascolto, così come ho visto nell’ultima puntata del programma televisivo di Fabio Fazio, dove l’eutanasia è stata trattata come fosse l’unica scelta giusta. Rosario Grassini, Monza
PENSO che Fabio Fazio sia una persona seria, ha la faccia da persona seria, credo sia uno che non s’è mai montato la testa. O per meglio dire l’ho creduto finora, perché da quando conduce il programma “Vieni via con me” vedo in lui una sistematica ricerca del clamore, secondo le più diffuse convinzioni che il rumore oltre a cancellare le voci contrarie fa salire l’attenzione. Dedicare una puntata all’eutanasia, limitandosi a raccontare una storia, che ne sottolinea le ragioni ignorando le argomentazioni di quanti invece ritengono sia una arbitrio contro la vita, che, aggiungerei, ha fra l’altro terribili precedenti storici, dovrebbe indurre ad un’intelligente cautela e anche all’ascolto delle opinioni avverse. Non si può liquidare la questione, come fa Fazio, solo dicendo che quella raccontata è solo una storia. A questo punto gli suggerirei di scegliere storie meno gravi, ma capisco che la faziosità renda di più della serietà.
Tirado daqui.
Pubblicato da Giovanni Morandi Dom, 28/11/2010 - 09:02
Tutto diventa squallidamente spettacolo, anche gli argomenti più seri, che richiederebbero non il clamore ma una silenziosa riflessione. Mi riferisco allo squallore nel vedere strumentalizzare un tema come l’eutanasia pensando solo agli indici di ascolto, così come ho visto nell’ultima puntata del programma televisivo di Fabio Fazio, dove l’eutanasia è stata trattata come fosse l’unica scelta giusta. Rosario Grassini, Monza
PENSO che Fabio Fazio sia una persona seria, ha la faccia da persona seria, credo sia uno che non s’è mai montato la testa. O per meglio dire l’ho creduto finora, perché da quando conduce il programma “Vieni via con me” vedo in lui una sistematica ricerca del clamore, secondo le più diffuse convinzioni che il rumore oltre a cancellare le voci contrarie fa salire l’attenzione. Dedicare una puntata all’eutanasia, limitandosi a raccontare una storia, che ne sottolinea le ragioni ignorando le argomentazioni di quanti invece ritengono sia una arbitrio contro la vita, che, aggiungerei, ha fra l’altro terribili precedenti storici, dovrebbe indurre ad un’intelligente cautela e anche all’ascolto delle opinioni avverse. Non si può liquidare la questione, come fa Fazio, solo dicendo che quella raccontata è solo una storia. A questo punto gli suggerirei di scegliere storie meno gravi, ma capisco che la faziosità renda di più della serietà.
Tirado daqui.
Sempre Italia
Giosuè Carducci- SOGNO D'ESTATE
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggí su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non piú libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spirituale di primavera;
ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giú da 'l mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggí su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non piú libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spirituale di primavera;
ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giú da 'l mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.
Thursday, November 25, 2010
El último rincón
Miguel Hernández-EL ÚLTIMO RINCÓN
El último y el primero:
rincón para el sol más grande,
sepultura de esta vida
donde tus ojos no caben.
Allí quisiera tenderme
para desenamorarme.
Por el olivo lo quiero,
lo persigo por la calle,
se sume por los rincones
donde se sumen los árboles.
Se ahonda y hace más honda
la intensidad de mi sangre.
Los olivos moribundos
florecen en todo el aire
y los muchachos se quedan
cercanos y agonizantes.
Carne de mi movimiento,
huesos de ritmos mortales:
me muero por respirar
sobre vuestros ademanes.
Corazón que entre dos piedras
ansiosas de machacarte,
de tanto querer te ahogas
como un mar entre dos mares.
De tanto querer me ahogo,
y no me es posible ahogarme.
Beso que viene rodando
desde el principio del mundo
a mi boca por tus labios.
Beso que va a un porvenir,
boca como un doble astro
que entre los astros palpita
por tantos besos parados,
por tantas bocas cerradas
sin un beso solitario.
¿Qué hice para que pusieran
a mi vida tanta cárcel?
Tu pelo donde lo negro
ha sufrido las edades
de la negrura más firme,
y la más emocionante:
tu secular pelo negro
recorro hasta remontarme
a la negrura primera
de tus ojos y tus padres,
al rincón de pelo denso
donde relampagueaste.
Como un rincón solitario
allí el hombre brota y arde.
Ay, el rincón de tu vientre;
el callejón de tu carne:
el callejón sin salida
donde agonicé una tarde.
La pólvora y el amor
marchan sobre las ciudades
deslumbrando, removiendo
la población de la sangre.
El naranjo sabe a vida
y el olivo a tiempo sabe.
Y entre el clamor de los dos
mis pasiones se debaten.
El último y el primero:
rincón donde algún cadáver
siente el arrullo del mundo
de los amorosos cauces.
Siesta que ha entenebrecido
el sol de las humedades.
Allí quisiera tenderme
para desenamorarme.
Después del amor, la tierra.
Después de la tierra, nadie.
El último y el primero:
rincón para el sol más grande,
sepultura de esta vida
donde tus ojos no caben.
Allí quisiera tenderme
para desenamorarme.
Por el olivo lo quiero,
lo persigo por la calle,
se sume por los rincones
donde se sumen los árboles.
Se ahonda y hace más honda
la intensidad de mi sangre.
Los olivos moribundos
florecen en todo el aire
y los muchachos se quedan
cercanos y agonizantes.
Carne de mi movimiento,
huesos de ritmos mortales:
me muero por respirar
sobre vuestros ademanes.
Corazón que entre dos piedras
ansiosas de machacarte,
de tanto querer te ahogas
como un mar entre dos mares.
De tanto querer me ahogo,
y no me es posible ahogarme.
Beso que viene rodando
desde el principio del mundo
a mi boca por tus labios.
Beso que va a un porvenir,
boca como un doble astro
que entre los astros palpita
por tantos besos parados,
por tantas bocas cerradas
sin un beso solitario.
¿Qué hice para que pusieran
a mi vida tanta cárcel?
Tu pelo donde lo negro
ha sufrido las edades
de la negrura más firme,
y la más emocionante:
tu secular pelo negro
recorro hasta remontarme
a la negrura primera
de tus ojos y tus padres,
al rincón de pelo denso
donde relampagueaste.
Como un rincón solitario
allí el hombre brota y arde.
Ay, el rincón de tu vientre;
el callejón de tu carne:
el callejón sin salida
donde agonicé una tarde.
La pólvora y el amor
marchan sobre las ciudades
deslumbrando, removiendo
la población de la sangre.
El naranjo sabe a vida
y el olivo a tiempo sabe.
Y entre el clamor de los dos
mis pasiones se debaten.
El último y el primero:
rincón donde algún cadáver
siente el arrullo del mundo
de los amorosos cauces.
Siesta que ha entenebrecido
el sol de las humedades.
Allí quisiera tenderme
para desenamorarme.
Después del amor, la tierra.
Después de la tierra, nadie.
Wednesday, November 24, 2010
Todo o nada
Nicole Kidman desvanecida sobre a mesa de um banquete que ainda não começou, fastosamente mascarada de cortesã do Antigo Regime e a quem parece apertar o corpete ou talvez a rotina dos dias sempre iguais. Com esta fotografia começa “Todo o Nada”, a exposição que dedica o Museu Thyssen-Bornemizsa de Madrid a Mario Testino, considerado um dos mais importantes e influentes fotógrafos da actualidade, um guru da moda que quando quer publica na Vanity Fair, W ou Vogue, acede à realeza mundial (a ele devemos a sessão fotográfica que consagrou definitivamente Lady Di como a Princesa do Povo) e tem o poder de elevar ao estatuto de divindade global mulheres como Sienna Miller ou Daria Werbowy.
É o último acontecimento da temporada, o must go total do fim deste ano madrileno que reúne, como fiéis devotos ansiosos de beleza, fashion victims, modernos, senhoras a roçar os sessenta anos e os quarenta quilos, supostos trendsetters, amantes da fotografia e adoradores da moda, lambedores de montras e decoradores da Harper’s Bazar, todos eles num silêncio quase monacal e que deveria de servir de exemplo para qualquer visitante dos museus do mundo. Ao lado de Nicole, está pendurado um retrato imenso de umas debutantes londrinas que em 2006 esperavam ansiosas o primeiro baile, o primeiro beijo escondido atrás das cortinas do salão, as primeiras mãos que lhes envolvam a cintura juvenil e, quem sabe, lhes desabotoem lentamente esses vestidos de alta costura.
Porque é disto que trata “Todo o Nada”: cinquenta e quatro retratos de mulheres bonitas – modelos, actrizes, celebrities – que vão tirando a roupa. Cada sala da exposição funciona como um espectador silencioso de um striptease de luxo e os visitantes somos convidados a participar neste exercício de voyerismo e desnudez, como se nós, uns vulgares, rechonchudos e mais que vestidos mortais, estivéssemos à altura das pernas e os rabos que ali se expõem. Conforme avançamos vemos como as modelos se vão despojando dos vestidos, camisas e sutiãs, peça a peça, pestana a pestana, até chegar à caída do vestido de Gisele Bunchen ou às mamas fabulosas de mulheres mais fabulosas ainda como Lara Stone, Claudia Schiffer ou Kate Moss, quem um pouco mais à frente provoca o espectador arregaçando a saia e mostrando umas cuequinhas que transparentam pouca vergonha e uns nada tímidos pêlos púbicos.
E assim se sucedem os corpos de estas Vénus do virar do século, numa explosão de ancas, peitos que se tapam com pulseiras de diamantes, calças de ganga descaídas, coxas que se contorcem entre lençóis e botas que funcionam como as únicas peças de roupa. Que gozo, que capacidade de sacar o melhor de cada uma das modelos, que naturalidade, penso ao ver estas fotos, como se não soubesse que atrás de cada uma delas existe uma equipa de maquilhadores, estilistas, cabeleireiras, esteticistas, designers, assistentes de produção e demais seres humanos cuja única missão na vida consiste em fazer magia transformando uma mulher bonita num objecto de desejo universal capaz de enfeitiçar qualquer espectador indefeso. Aliás, Mario Testino não tem problema nenhum em afirmar que é fã do photoshop e da cirurgia estética (para a realidade já nos bastam os telejornais), pelo que a sucessão de retratos destas ninfas supremas não chega para me deprimir com a confrontação da banalidade do meu próprio corpo necessitado, esse sim, de algum que outro retoque digital. Aqui só não se conforma quem não quer.
Até chegar à última fotografia. De costas, completamente nua sobre uns saltos impossíveis, está Demi Moore, provando que não há photoshop que valha quando se é dona do rabo mais soberbo de Hollywood. Reduzida à minha insignificância olho para aquelas nádegas e compreendo finalmente o funcionamento do Universo, a teoria da relatividade de Einstein e até o fora-de-fogo. O poder desta mulher está concentrado, não na maquilhagem, nem na produção estilística, mas sim nuns glúteos férreos que desafiam as leis da física, da lógica e da gravidade e que claramente lançam o repto: “Tenho 48 anos. Olhem para o meu rabo. Agora escolham: tudo ou nada.”
Tirado daqui.
Porque é disto que trata “Todo o Nada”: cinquenta e quatro retratos de mulheres bonitas – modelos, actrizes, celebrities – que vão tirando a roupa. Cada sala da exposição funciona como um espectador silencioso de um striptease de luxo e os visitantes somos convidados a participar neste exercício de voyerismo e desnudez, como se nós, uns vulgares, rechonchudos e mais que vestidos mortais, estivéssemos à altura das pernas e os rabos que ali se expõem. Conforme avançamos vemos como as modelos se vão despojando dos vestidos, camisas e sutiãs, peça a peça, pestana a pestana, até chegar à caída do vestido de Gisele Bunchen ou às mamas fabulosas de mulheres mais fabulosas ainda como Lara Stone, Claudia Schiffer ou Kate Moss, quem um pouco mais à frente provoca o espectador arregaçando a saia e mostrando umas cuequinhas que transparentam pouca vergonha e uns nada tímidos pêlos púbicos.
E assim se sucedem os corpos de estas Vénus do virar do século, numa explosão de ancas, peitos que se tapam com pulseiras de diamantes, calças de ganga descaídas, coxas que se contorcem entre lençóis e botas que funcionam como as únicas peças de roupa. Que gozo, que capacidade de sacar o melhor de cada uma das modelos, que naturalidade, penso ao ver estas fotos, como se não soubesse que atrás de cada uma delas existe uma equipa de maquilhadores, estilistas, cabeleireiras, esteticistas, designers, assistentes de produção e demais seres humanos cuja única missão na vida consiste em fazer magia transformando uma mulher bonita num objecto de desejo universal capaz de enfeitiçar qualquer espectador indefeso. Aliás, Mario Testino não tem problema nenhum em afirmar que é fã do photoshop e da cirurgia estética (para a realidade já nos bastam os telejornais), pelo que a sucessão de retratos destas ninfas supremas não chega para me deprimir com a confrontação da banalidade do meu próprio corpo necessitado, esse sim, de algum que outro retoque digital. Aqui só não se conforma quem não quer.
Até chegar à última fotografia. De costas, completamente nua sobre uns saltos impossíveis, está Demi Moore, provando que não há photoshop que valha quando se é dona do rabo mais soberbo de Hollywood. Reduzida à minha insignificância olho para aquelas nádegas e compreendo finalmente o funcionamento do Universo, a teoria da relatividade de Einstein e até o fora-de-fogo. O poder desta mulher está concentrado, não na maquilhagem, nem na produção estilística, mas sim nuns glúteos férreos que desafiam as leis da física, da lógica e da gravidade e que claramente lançam o repto: “Tenho 48 anos. Olhem para o meu rabo. Agora escolham: tudo ou nada.”
Tirado daqui.
Prémio Cervantes 2010
" Durmieron en el mismo chozo de barro, bajo los robles, aprovechando el abrazo de las raíces. En el chozo sólo cabían echados y tenían que entrar a gatas, medio arrastrándose. Pero se estaba fresco en el verano y bastante abrigado en el invierno. El verano pasó. Luego el otoño y el invierno. Los pastores no bajaban al pueblo, excepto el día de la fiesta. Cada quince días un zagal les subía la collera: Pan, cecina, sebo, ajos. A veces, una botella de vino. Las cumbres de Sagrado eran hermosas, de un azul profundo, terrible, ciego. El sol, alto y redondo, como una pupila impertérrita, reinaba ahí. En la neblina del amanecer, cuando aún no se oía el zumbido de las moscas ni crujido alguno, Lope solía despertar, con la techumbre de barro encima de los ojos. Se quedaba quieto un rato, sintiendo en el costado el cuerpo de Roque el Mediano, como un bulto alentante. Luego, arrastrándose, salía para el cerradero. En el mismo cielo, cruzados como estrellas fugitivas, los gritos se perdían, inútiles y grandes. Sabía Dios hacia qué parte caerían. Como las piedras. Como los años. Un año, dos, cinco. "
Ana María Matute
Ana María Matute
Tuesday, November 23, 2010
Nada, nadica
Uma montra partida, um carro a arder, imagens dumas bastonadas, um ou outro sobrolho rasgado… nada, nadica a fazer-me consolidar a opinião de que acertáramos o passo com a contemporaneidade dos países ricos, livres e civilizados onde a turba costuma praticar o caos e desacatos antes de regressarem a casa para o duche e para jantar, sempre que um punhado de chefes de estado se reúne. Ainda vi uns patuscos a despejarem um balde de uma coisa vermelha e viscosa pela cabeça abaixo a fazer de conta que era sangue e a berrar contra a guerra. Mas nem em directo foi… pelo que o impacto não foi lá essas coisas, para além de terem borrado o passeio todo. Também vi cerca de cinquenta manifestantes, aparentemente rodeados por uma centena de polícias, com uns dísticos quaisquer que fiquei na dúvida se eram contra a Nato ou contra o Benfica. Do Gualter… nem cheiro, devia estar a estudar desobediência civil para algum teste. Resumindo, foi uma cena pífia como pífio parece ser tudo aquilo que leve o selo nacional. Valha-nos o Anacleto Louçã a quem ainda ouvi umas barbaridades costumeiras que, por serem barbaridades e tão desgastadas, já me vão soando em «mode fading».
E assim acabou a cimeira onde parece que o maior impacto andou à volta de um beijo que Obama pespegou numa gentil senhora à saída do AF1, que mais tarde se veio a saber ser a filha de Luís Amado, já que a mulher (esposa, Márcia, esposa, desculpa…) estava com um enxaqueca em casa. Passo por cima de algumas declarações que me pareceram realmente importantes mas só a ideia de que o nosso inefável Sócrates se anda a apropriar da paternidade de tais decisões me faz arrepiar caminho. Quase tanto como me arrepia só de falar nele, tanto quanto me eriça esta fase de aparente lavagem de imagem de Pinto de Sousa, eu que julgava que as suas nódoas nem com benzina saíam.
Tirado daqui.
E assim acabou a cimeira onde parece que o maior impacto andou à volta de um beijo que Obama pespegou numa gentil senhora à saída do AF1, que mais tarde se veio a saber ser a filha de Luís Amado, já que a mulher (esposa, Márcia, esposa, desculpa…) estava com um enxaqueca em casa. Passo por cima de algumas declarações que me pareceram realmente importantes mas só a ideia de que o nosso inefável Sócrates se anda a apropriar da paternidade de tais decisões me faz arrepiar caminho. Quase tanto como me arrepia só de falar nele, tanto quanto me eriça esta fase de aparente lavagem de imagem de Pinto de Sousa, eu que julgava que as suas nódoas nem com benzina saíam.
Tirado daqui.
Soñando
Manuel María Flores-SOÑANDO
Anoche te soñaba, vida mía,
estaba solo y triste en mi aposento,
escribía... no sé qué; mas era algo
de ternura, de amor, de sentimiento.
Porque pensaba en ti. Quizás buscaba
la palabra más fiel para decirte
la infinita pasión con que te amaba.
De pronto, silenciosa,
una figura blanca y vaporosa
a mi lado llegó... Sentí en mi cuello
posarse dulcemente
un brazo cariñoso, y por mi frente
resbalar una trenza de cabello.
Sentí sobre mis labios
el puro soplo de un aliento blando,
alcé mis ojos y encontré los tuyos
que me estaban, dulcísimos, mirando.
Pero estaban tan cerca que sentía
en yo no sé que plácido desmayo
que en la luz inefable de su rayo
entraba toda tu alma hasta la mía.
Después, largo, süave
y rumoroso apenas, en mi frente
un beso melancólico imprimiste,
y con dulce sonrisa de tristeza
resbalando tu mano en mi cabeza
en voz baja, muy baja, me dijiste:
-"Me escribes y estás triste
porque me crees ausente, pobre amigo;
pero ¿no sabes ya que eternamente
aunque lejos esté, vivo contigo?"
Y al despertar de tan hermoso sueño
sentí en mi corazón plácida calma;
y me dijiste: es verdad... ¡eternamente!...
¿cómo puede jamás estar ausente
la que vive inmortal dentro del alma?
Anoche te soñaba, vida mía,
estaba solo y triste en mi aposento,
escribía... no sé qué; mas era algo
de ternura, de amor, de sentimiento.
Porque pensaba en ti. Quizás buscaba
la palabra más fiel para decirte
la infinita pasión con que te amaba.
De pronto, silenciosa,
una figura blanca y vaporosa
a mi lado llegó... Sentí en mi cuello
posarse dulcemente
un brazo cariñoso, y por mi frente
resbalar una trenza de cabello.
Sentí sobre mis labios
el puro soplo de un aliento blando,
alcé mis ojos y encontré los tuyos
que me estaban, dulcísimos, mirando.
Pero estaban tan cerca que sentía
en yo no sé que plácido desmayo
que en la luz inefable de su rayo
entraba toda tu alma hasta la mía.
Después, largo, süave
y rumoroso apenas, en mi frente
un beso melancólico imprimiste,
y con dulce sonrisa de tristeza
resbalando tu mano en mi cabeza
en voz baja, muy baja, me dijiste:
-"Me escribes y estás triste
porque me crees ausente, pobre amigo;
pero ¿no sabes ya que eternamente
aunque lejos esté, vivo contigo?"
Y al despertar de tan hermoso sueño
sentí en mi corazón plácida calma;
y me dijiste: es verdad... ¡eternamente!...
¿cómo puede jamás estar ausente
la que vive inmortal dentro del alma?
Monday, November 22, 2010
Auschwitz não foi um acidente
Estudar o nazismo não é a mesma coisa que estudar outro período histórico qualquer. Sem compreendermos este fenómeno nunca poderemos compreender o que foi o século XX. Mais: temos de saber que foi no mesmo país em que nasceu Bach que se imaginou Auschwitz, e que enquanto matavam judeus nos campos ouviam as suas composições para piano e faziam-no em nome da cultura alemã. Auschwitz foi construído em nome da civilização e contra uma suposta barbárie. Os nazis estavam convencidos de que eles é que eram os bons, os “decentes”. Himmler sempre utilizou essa linguagem, pois pedia aos seus homens para aguentarem esse trabalho “tão duro” que era o do assassínio em massa e, ao mesmo tempo, não se deixarem contaminar e manterem a sua “decência”. Auschwitz não foi um acidente, não foi apenas um excesso do nazismo, Auschwitz interroga-nos sobre o carácter da cultura e da modernidade. Auschwitz obriga-nos a pensar que temos de estar sempre conscientes de que a nossa capacidade para mudar o mundo e o poderio que nos dão as tecnologias têm de ser sempre balizados por referências morais muito fortes que evitem que a técnica sem moral conduza ao utilitarismo. Em Auschwitz escondem-se, condensam-se, todas as contradições das nossas sociedades modernas. Até a ideia de progresso, pois um médico como Mengele não se via como um criminoso, mas como alguém que procurava fazer avançar a ciência, que queria perceber as raízes biológicas dos comportamentos humanos e o fazia pelo método experimental.”Ferran Gallego, historiador e autor do livro ‘Os Homens do Fuhrer: A Elite do Nacional-Socialismo 1919-1945‘ (Esfera dos Livros), em entrevista ao Ípsilon, edição de 12 de Fevereiro de 2010. (Citado por um voo cego a nada, via Mário Pires.)
Tirado daqui.
Stylish
So many top-notch things have come together in Barbecoa, one of London’s newest restaurants, that it would be a quite the scandal if it did not succeed.
Just consider the ingredients of this barbecue haven: First take Britain’s biggest food export, celebrity chef Jamie Oliver. Combine him with the man who knows everything about barbecue, French-trained American chef Adam Perry. (Don’t forget both own and operate several restaurants already.)
Mix in the best meat preparation tools from around the world; the Japanese robata grills, fire pits, Texan smoker and tandoor ovens. Add one in-house butcher shop that provides every part of animal — from meats to game to poultry — not just to the restaurant but for the public to buy.
Wrap this all in a stylishly bold Tom Dixon interior by his Design Research Studio and sprinkle lightly with a fantastic view of the adjacent St. Paul’s Cathedral. If, in addition, the prices, service and food quality meet or exceed expectations, we’d have to say this is a sure winner. - Bill Tikos
Tirado daqui.
Decapitando sueños
Rafael Alberti-Alba de noche oscura
Sobre la luna inmóvil de un espejo,
celebra una redonda cofradía
de verdes pinos, tintos de oro viejo,
la transfiguración del rey del día.
La plata blanda, ayuna del reflejo,
muere ya. Del cristal -lámina fría-
dice la voz del vaho en agonía:
-Doró mi lengua el sol, ¿de qué me quejo?
La puertas del ocaso, ya cerradas,
tapina de luto el campo. Negros perros,
a lo que nadie sabe, ocultos, gritan.
Decapitando sueños, fatigadas,
sobre el túmulo alto de los cerros
las estrellas del valle se marchitan.
Sobre la luna inmóvil de un espejo,
celebra una redonda cofradía
de verdes pinos, tintos de oro viejo,
la transfiguración del rey del día.
La plata blanda, ayuna del reflejo,
muere ya. Del cristal -lámina fría-
dice la voz del vaho en agonía:
-Doró mi lengua el sol, ¿de qué me quejo?
La puertas del ocaso, ya cerradas,
tapina de luto el campo. Negros perros,
a lo que nadie sabe, ocultos, gritan.
Decapitando sueños, fatigadas,
sobre el túmulo alto de los cerros
las estrellas del valle se marchitan.
Thursday, November 18, 2010
Sua Patriótica Alteza
Tenho de pedir desculpa ao Alandroal por aqui ter escrito há quinze dias que me parecia chocante a percentagem de um funcionário municipal para cada 28 habitantes. Na 'pérola do Atlântico', entre o seu gabinete, os dos sete secretários regionais, os dos 70 organismos públicos que eles criaram e mantêm e as autarquias, há 35.000 funcionários para servir 245.000 habitantes: um 'jardinário' para cada oito madeirenses. O dobro do número de funcionários dos Açores, com a mesma população, mas dispersa por nove ilhas habitadas e não por duas e muito mais distantes entre si. E mais de metade do número de funcionários das Canárias, ali ao lado, com sete ilhas habitadas e oito vezes a população da Madeira.
Para conseguir sustentar este exército privado de funcionários, Jardim vive a sugar dinheiro ao continente, até onde o deixam e mais além: quando lhe impuseram finalmente a obrigatoriedade de endividamento zero, Sua Alteza Atlântica inventou as "sociedades de desenvolvimento regional" que se endividam com o aval do Governo e servem, entre outros fins de utilidade pública, para sustentar o Marítimo FC, o clube da predilecção de Sua Alteza Insular, ou um pasquim chamado "Jornal da Madeira" (que é distribuído gratuitamente para ver se assim liquida o único concorrente e não alinhado), e onde Sua Alteza Querida é diariamente louvada ao melhor nível do outro Querido Líder asiático.
Eis o Estado Jardim. Eis como se ganham eleições eternamente. Há anos que me faço a mesma pergunta: porque é que a nossa democracia e o nosso pobre país têm de sustentar e engolir esta ruinosa fantochada democrática? Porque é que não há Presidente da República, nem primeiro-ministro, nem líder do PSD que não se ajoelhe perante Sua Exaltada Alteza? Têm medo que ele declare a independência? Pois que declare!
Por estes dias, Sua Alteza Revoltada anda histérico com a iminência de perder um dos privilégios que lhe advêm do privilégio de fazer leis de excepção a favor dos madeirenses: vai deixar de poder acumular a totalidade do vencimento de presidente do governo regional com a totalidade da sua pensão de 4124 euros (cuja revelação pela imprensa o levou na altura a classificar os jornalistas como "bastardos, para não dizer filhos da puta"). Esse privilégio, assim como o do direito a uma subvenção vitalícia quando, enfim, cessar funções, aí pelo ano 2045, foram ambos banidos no início do Governo Sócrates, há cinco anos. Mas não na Madeira, onde Sua Educada Alteza tratou de se excepcionar e aos seus. Segundo anunciou, Sua Roubada Alteza vai então pôr em tribunal o que chama o Estado "ladrão", que se lembrou de repente que ele também era português e sujeito a compartilhar uma pequena parte dos sacrifícios comuns. Como habitualmente, o advogado dever ser o deputado Guilherme Silva, que costuma desempenhar essa curiosa dupla função de deputado nacional e advogado do governo regional. Ou, então, considerando que se está perante um roubo a um trabalhador, talvez o camarada dr. Garcia Pereira (esse mesmo, o da ditadura popular, que também costuma advogar a favor de Sua Quase Africana Alteza). Palpitante pleito judicial em vista, que, se fosse julgado em Alenquer, tinha desfecho garantido a favor de Sua Patriótica Alteza
Miguel Sousa Tavares
Berenjenas con queso
Baltazar de Alcázar-Tres cosas
Tres cosas me tienen preso
de amores el corazón,
la bella Inés, el jamón
y berenjenas con queso.
Esta Inés (amantes) es
quien tuvo en mí tal poder,
que me hizo aborrecer
todo lo que no era Inés.
Trájome un año sin seso,
hasta que en una ocasión
me dio a merendar jamón
y berenjenas con queso.
Fue de Inés la primer palma,
pero ya júzgase mal
entre todos ellos cuál
tiene más parte en mi alma.
En gusto, medida y peso
no le hallo distinción,
ya quiero Inés, ya jamón,
ya berenjenas con queso.
Alega Inés su beldad,
el jamón que es de Aracena,
el queso y berenjena
la española antigüedad.
Y está tan en fil el peso
que juzgado sin pasión
todo es uno, Inés, jamón,
y berenjenas con queso.
A lo menos este trato
de estos mis nuevos amores,
hará que Inés sus favores,
me los venda más barato.
Pues tendrá por contrapeso
si no hiciere razón,
una lonja de jamón
y berenjenas con queso.
Tres cosas me tienen preso
de amores el corazón,
la bella Inés, el jamón
y berenjenas con queso.
Esta Inés (amantes) es
quien tuvo en mí tal poder,
que me hizo aborrecer
todo lo que no era Inés.
Trájome un año sin seso,
hasta que en una ocasión
me dio a merendar jamón
y berenjenas con queso.
Fue de Inés la primer palma,
pero ya júzgase mal
entre todos ellos cuál
tiene más parte en mi alma.
En gusto, medida y peso
no le hallo distinción,
ya quiero Inés, ya jamón,
ya berenjenas con queso.
Alega Inés su beldad,
el jamón que es de Aracena,
el queso y berenjena
la española antigüedad.
Y está tan en fil el peso
que juzgado sin pasión
todo es uno, Inés, jamón,
y berenjenas con queso.
A lo menos este trato
de estos mis nuevos amores,
hará que Inés sus favores,
me los venda más barato.
Pues tendrá por contrapeso
si no hiciere razón,
una lonja de jamón
y berenjenas con queso.
Wednesday, November 17, 2010
Knowing is better than wondering
“A couple of hundred years ago, Benjamin Franklin shared with the world the secret of his success. Never leave that till tomorrow, he said, which you can do today. This is the man who discovered electricity. You think more people would listen to what he had to say. I don't know why we put things off, but if I had to guess, I'd have to say it has a lot to do with fear. Fear of failure, fear of rejection, sometimes the fear is just of making a decision, because what if you're wrong? What if you're making a mistake you can't undo? The early bird catches the worm. A stitch in time saves nine. He who hesitates is lost. We can't pretend we hadn't been told. We've all heard the proverbs, heard the philosophers, heard our grandparents warning us about wasted time, heard the damn poets urging us to seize the day. Still sometimes we have to see for ourselves. We have to make our own mistakes. We have to learn our own lessons. We have to sweep today's possibility under tomorrow's rug until we can't anymore. Until we finally understand for ourselves what Benjamin Franklin really meant. That knowing is better than wondering, that waking is better than sleeping, and even the biggest failure, even the worst, beat the hell out of never trying”.
Meredith Grey, in Grey's Anatomy
Meredith Grey, in Grey's Anatomy
Tus ojos verdes
RIMA XII
Porque son, niña, tus ojos
verdes como el mar, te quejas;
verdes los tienen las náyades,
verdes los tuvo Minerva,
y verdes son las pupilas
de las huríes del Profeta.
El verde es gala y ornato
del bosque en la primavera;
entre sus siete colores
brillante el Iris lo ostenta,
las esmeraldas son verdes;
verde el color del que espera,
y las ondas del océano
y el laurel de los poetas.
Es tu mejilla temprana
rosa de escarcha cubierta,
en que el carmín de los pétalos
se ve al través de las perlas.
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean,
pues no lo creas.
Que parecen sus pupilas
húmedas, verdes e inquietas,
tempranas hojas de almendro
que al soplo del aire tiemblan.
Es tu boca de rubíes
purpúrea granada abierta
que en el estío convida
a apagar la sed con ella,
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean,
pues no lo creas.
Que parecen, si enojada
tus pupilas centellean,
las olas del mar que rompen
en las cantábricas peñas.
Es tu frente que corona,
crespo el oro en ancha trenza,
nevada cumbre en que el día
su postrera luz refleja.
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean:
pues no lo creas.
Que entre las rubias pestañas,
junto a las sienes semejan
broches de esmeralda y oro
que un blanco armiño sujetan.
Porque son, niña, tus ojos
verdes como el mar te quejas;
quizás, si negros o azules
se tornasen, lo sintieras.
Porque son, niña, tus ojos
verdes como el mar, te quejas;
verdes los tienen las náyades,
verdes los tuvo Minerva,
y verdes son las pupilas
de las huríes del Profeta.
El verde es gala y ornato
del bosque en la primavera;
entre sus siete colores
brillante el Iris lo ostenta,
las esmeraldas son verdes;
verde el color del que espera,
y las ondas del océano
y el laurel de los poetas.
Es tu mejilla temprana
rosa de escarcha cubierta,
en que el carmín de los pétalos
se ve al través de las perlas.
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean,
pues no lo creas.
Que parecen sus pupilas
húmedas, verdes e inquietas,
tempranas hojas de almendro
que al soplo del aire tiemblan.
Es tu boca de rubíes
purpúrea granada abierta
que en el estío convida
a apagar la sed con ella,
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean,
pues no lo creas.
Que parecen, si enojada
tus pupilas centellean,
las olas del mar que rompen
en las cantábricas peñas.
Es tu frente que corona,
crespo el oro en ancha trenza,
nevada cumbre en que el día
su postrera luz refleja.
Y sin embargo,
sé que te quejas
porque tus ojos
crees que la afean:
pues no lo creas.
Que entre las rubias pestañas,
junto a las sienes semejan
broches de esmeralda y oro
que un blanco armiño sujetan.
Porque son, niña, tus ojos
verdes como el mar te quejas;
quizás, si negros o azules
se tornasen, lo sintieras.