Wednesday, October 31, 2007
Canção serena
Victoriano Crémer-CANCIÓN SERENA
Un día puro, alegre, libre quiero.
Fray Luis de León
No me dejéis así:
Sorbido por la tierra
hondísima y vibrante como el clamor penúltimo;
con este olor maduro de soles y horizontes
abriéndome en el pecho un surco luminoso.
No es que el cuerpo me suene a cristal derramado
ni que diez corazones me alanceen las yemas,
ni que cielos redondos agolpen sus rebaños
a mis ojos mastines, ladradores de cimas.
Es que un mar fugitivo rinde velas y senos
y pétalos y espumas en la gozosa playa
donde el rumor se atreve a mancillar la sombra.
¡Y se me ciegan labios y gritos y pupilas!
Es que siento que el aire es de carne dulcísima
y la luz sólo luz. Que el contorno me huye
a bandadas blanquísimas de palomas y lirios
y me abandonan manos y dientes y melenas.
¡No! ¡No me dejéis así! Moriría desnudo
sin sentirme morir.
Y mi pobre vestido, con su sangre caliente,
se hundiría, esperando mi imposible retorno.
Un día puro, alegre, libre quiero.
Fray Luis de León
No me dejéis así:
Sorbido por la tierra
hondísima y vibrante como el clamor penúltimo;
con este olor maduro de soles y horizontes
abriéndome en el pecho un surco luminoso.
No es que el cuerpo me suene a cristal derramado
ni que diez corazones me alanceen las yemas,
ni que cielos redondos agolpen sus rebaños
a mis ojos mastines, ladradores de cimas.
Es que un mar fugitivo rinde velas y senos
y pétalos y espumas en la gozosa playa
donde el rumor se atreve a mancillar la sombra.
¡Y se me ciegan labios y gritos y pupilas!
Es que siento que el aire es de carne dulcísima
y la luz sólo luz. Que el contorno me huye
a bandadas blanquísimas de palomas y lirios
y me abandonan manos y dientes y melenas.
¡No! ¡No me dejéis así! Moriría desnudo
sin sentirme morir.
Y mi pobre vestido, con su sangre caliente,
se hundiría, esperando mi imposible retorno.
Geni viventi
Geni viventi, top 100. Italiani? Solo Fo
Primi il padre dell'Lsd e l'inventore del Web. La sorpresa del Nobel: «Avrei voluto anche Piano e Odifreddi»
MILANO — Al primo posto c'è il chimico Albert Hoffman, che ha inventato l'Lsd e che però si trova a dividere la testa della classifica con Tim Berners-Lee, l'ideatore del «www», il World Wide Web. Seguono a ruota il miliardario filantropo George Soros, il papà dei Simpson Matt Groening, il Nobel per la Pace Nelson Mandela, il due volte Nobel per la chimica Frederick Sanger. Sono i magnifici sei dei migliori geni viventi al mondo, i primi di una classifica lunga cento nomi che vede al settimo posto l'unico italiano, anche lui un Premio Nobel: il genio Dario Fo.
«È una cosa da pazzi! Una cosa enorme e sorprendente se guardo chi c'è prima di me, dei giganti! »: l'autore del Mistero buffo proprio non si aspettava un tale successo. Sono gli inglesi a stilare la classifica dei geni e fa sorridere il trionfante titolo del Telegraph: «I cervelli britannici dominano la lista dei geni viventi: con 24 in classifica, il Paese ha generato un genio vivente ogni 2,5 milioni di persone, la più alta proporzione in assoluto».
E proprio gli inglesi scelgono Dario Fo, lettissimo, amatissimo e seguitissimo in terra britannica: il suo Morte accidentale di un anarchico è stato in scena a Londra per cinque anni consecutivi rappresentato da sessanta compagnie diverse. E pure in questo periodo, i palchi londinesi ospiteranno tre sue commedie, Mistero buffo, Settimo: ruba un po' meno e Non si paga! Non si paga!. Il titolo di quest'ultima, «fu perfino ripreso come slogan dai sindacati inglesi contro la Thatcher», ricorda Fo, che tiene anche lezioni alla London University. E sarà per questo che la scorsa estate i quattromila sudditi di Elisabetta II hanno fatto (anche) il suo nome in un'inchiesta-sondaggio per scegliere le migliori menti umane viventi in base a: popolarità, potere intellettuale, successo, importanza culturale e capacità di spostare i limiti. Tra i 1.100 candidati arrivati sono stati scelti i top 100. «Molte persone pensano che un genio debba essere quello che rivolta le convenzioni e le regole — ha spiegato Nigel Clarke, dirigente della Synetics Uk & Europe che ha realizzato la ricerca —: credo che Hoffman e Berners-Lee abbiano questo in comune con i grandi geni del passato, entrambi hanno rovesciato il mondo e forse questo già basta per renderli le più grandi menti viventi». E a scorrere la lista di gente che ha «rovesciato il mondo» ce n'è un bel po'.
Intanto, al settimo posto pari merito con Fo c'è lo scienziato Stephen Hawking e la sua rivoluzione dei buchi neri, poi Brian Eno (15), il Dalai Lama e Stephen Spielberg (26), Prince e Noam Chomsky (32), fino a Mohammed Ali e Bill Gates (43). Menti geniali che hanno ribaltato il mondo con le loro invenzioni, idee, note, parole. Al posto 43 però c'è anche un altro «rivoluzionario»: Osama Bin Laden. «È tipico dell'umorismo inglese — sorride Dario Fo —, e poi è una dimostrazione della serietà dell'inchiesta ». Peccato però che tra i geni la prima donna trovi il primo spazio solo al trentaduesimo posto con l'astrobiologa americana Margaret Turnbull. Certo non può però poi mancare l'amatissima JK Rowling di Harry Potter, giù al posto 83. Tra le altre (poche) spiccano Meryl Streep (49), Aretha Franklyn (67), Annette Baier (72) e Dolly Parton (94). E Dario Fo, chi metterebbe in classifica? Riflette il genio italiano passeggiando tra le opere di Emilio Tadini in mostra a Milano: «Non è facile, sceglierei magari un pittore, un architetto... Renzo Piano ad esempio. Ma penso anche al matematico Piergiorgio Odifreddi, in Inghilterra non è molto conosciuto, ma lui sì che è un grande genio e meriterebbe il Nobel».
Tirado daqui.
Primi il padre dell'Lsd e l'inventore del Web. La sorpresa del Nobel: «Avrei voluto anche Piano e Odifreddi»
MILANO — Al primo posto c'è il chimico Albert Hoffman, che ha inventato l'Lsd e che però si trova a dividere la testa della classifica con Tim Berners-Lee, l'ideatore del «www», il World Wide Web. Seguono a ruota il miliardario filantropo George Soros, il papà dei Simpson Matt Groening, il Nobel per la Pace Nelson Mandela, il due volte Nobel per la chimica Frederick Sanger. Sono i magnifici sei dei migliori geni viventi al mondo, i primi di una classifica lunga cento nomi che vede al settimo posto l'unico italiano, anche lui un Premio Nobel: il genio Dario Fo.
«È una cosa da pazzi! Una cosa enorme e sorprendente se guardo chi c'è prima di me, dei giganti! »: l'autore del Mistero buffo proprio non si aspettava un tale successo. Sono gli inglesi a stilare la classifica dei geni e fa sorridere il trionfante titolo del Telegraph: «I cervelli britannici dominano la lista dei geni viventi: con 24 in classifica, il Paese ha generato un genio vivente ogni 2,5 milioni di persone, la più alta proporzione in assoluto».
E proprio gli inglesi scelgono Dario Fo, lettissimo, amatissimo e seguitissimo in terra britannica: il suo Morte accidentale di un anarchico è stato in scena a Londra per cinque anni consecutivi rappresentato da sessanta compagnie diverse. E pure in questo periodo, i palchi londinesi ospiteranno tre sue commedie, Mistero buffo, Settimo: ruba un po' meno e Non si paga! Non si paga!. Il titolo di quest'ultima, «fu perfino ripreso come slogan dai sindacati inglesi contro la Thatcher», ricorda Fo, che tiene anche lezioni alla London University. E sarà per questo che la scorsa estate i quattromila sudditi di Elisabetta II hanno fatto (anche) il suo nome in un'inchiesta-sondaggio per scegliere le migliori menti umane viventi in base a: popolarità, potere intellettuale, successo, importanza culturale e capacità di spostare i limiti. Tra i 1.100 candidati arrivati sono stati scelti i top 100. «Molte persone pensano che un genio debba essere quello che rivolta le convenzioni e le regole — ha spiegato Nigel Clarke, dirigente della Synetics Uk & Europe che ha realizzato la ricerca —: credo che Hoffman e Berners-Lee abbiano questo in comune con i grandi geni del passato, entrambi hanno rovesciato il mondo e forse questo già basta per renderli le più grandi menti viventi». E a scorrere la lista di gente che ha «rovesciato il mondo» ce n'è un bel po'.
Intanto, al settimo posto pari merito con Fo c'è lo scienziato Stephen Hawking e la sua rivoluzione dei buchi neri, poi Brian Eno (15), il Dalai Lama e Stephen Spielberg (26), Prince e Noam Chomsky (32), fino a Mohammed Ali e Bill Gates (43). Menti geniali che hanno ribaltato il mondo con le loro invenzioni, idee, note, parole. Al posto 43 però c'è anche un altro «rivoluzionario»: Osama Bin Laden. «È tipico dell'umorismo inglese — sorride Dario Fo —, e poi è una dimostrazione della serietà dell'inchiesta ». Peccato però che tra i geni la prima donna trovi il primo spazio solo al trentaduesimo posto con l'astrobiologa americana Margaret Turnbull. Certo non può però poi mancare l'amatissima JK Rowling di Harry Potter, giù al posto 83. Tra le altre (poche) spiccano Meryl Streep (49), Aretha Franklyn (67), Annette Baier (72) e Dolly Parton (94). E Dario Fo, chi metterebbe in classifica? Riflette il genio italiano passeggiando tra le opere di Emilio Tadini in mostra a Milano: «Non è facile, sceglierei magari un pittore, un architetto... Renzo Piano ad esempio. Ma penso anche al matematico Piergiorgio Odifreddi, in Inghilterra non è molto conosciuto, ma lui sì che è un grande genio e meriterebbe il Nobel».
Tirado daqui.
Tuesday, October 30, 2007
A boca
Miguel Hernández-LA BOCA
Boca que arrastra mi boca:
boca que me has arrastrado:
boca que vienes de lejos
a iluminarme de rayos.
Alba que das a mis noches
un resplandor rojo y blanco.
Boca poblada de bocas:
pájaro lleno de pájaros.
Canción que vuelve las alas
hacia arriba y hacia abajo.
Muerte reducida a besos,
a sed de morir despacio,
das a la grama sangrante
dos fúlgidos aletazos.
El labio de arriba el cielo
y la tierra el otro labio.
Beso que rueda en la sombra:
beso que viene rodando
desde el primer cementerio
hasta los últimos astros.
Astro que tiene tu boca
enmudecido y cerrado
hasta que un roce celeste
hace que vibren sus párpados.
Beso que va a un porvenir
de muchachas y muchachos,
que no dejarán desiertos
ni las calles ni los campos.
¡Cuánta boca enterrada,
sin boca, desenterramos!
Beso en tu boca por ellos,
brindo en tu boca por tantos
que cayeron sobre el vino
de los amorosos vasos.
Hoy son recuerdos, recuerdos,
besos distantes y amargos.
Hundo en tu boca mi vida,
oigo rumores de espacios,
y el infinito parece
que sobre mí se ha volcado.
He de volverte a besar,
he de volver, hundo, caigo,
mientras descienden los siglos
hacia los hondos barrancos
como una febril nevada
de besos y enamorados.
Boca que desenterraste
el amanecer más claro
con tu lengua. Tres palabras,
tres fuegos has heredado:
vida, muerte, amor. Ahí quedan
escritos sobre tus labios.
Boca que arrastra mi boca:
boca que me has arrastrado:
boca que vienes de lejos
a iluminarme de rayos.
Alba que das a mis noches
un resplandor rojo y blanco.
Boca poblada de bocas:
pájaro lleno de pájaros.
Canción que vuelve las alas
hacia arriba y hacia abajo.
Muerte reducida a besos,
a sed de morir despacio,
das a la grama sangrante
dos fúlgidos aletazos.
El labio de arriba el cielo
y la tierra el otro labio.
Beso que rueda en la sombra:
beso que viene rodando
desde el primer cementerio
hasta los últimos astros.
Astro que tiene tu boca
enmudecido y cerrado
hasta que un roce celeste
hace que vibren sus párpados.
Beso que va a un porvenir
de muchachas y muchachos,
que no dejarán desiertos
ni las calles ni los campos.
¡Cuánta boca enterrada,
sin boca, desenterramos!
Beso en tu boca por ellos,
brindo en tu boca por tantos
que cayeron sobre el vino
de los amorosos vasos.
Hoy son recuerdos, recuerdos,
besos distantes y amargos.
Hundo en tu boca mi vida,
oigo rumores de espacios,
y el infinito parece
que sobre mí se ha volcado.
He de volverte a besar,
he de volver, hundo, caigo,
mientras descienden los siglos
hacia los hondos barrancos
como una febril nevada
de besos y enamorados.
Boca que desenterraste
el amanecer más claro
con tu lengua. Tres palabras,
tres fuegos has heredado:
vida, muerte, amor. Ahí quedan
escritos sobre tus labios.
Il cibo non basta
Campagna di Medici Senza Frontiere per gli «alimenti terapeutici pronti all’uso»
ROMA - Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione medico-umanitaria al mondo, ha lanciato oggi un appello affinchè si intensifichino gli sforzi per espandere l’uso dei nuovi «alimenti terapeutici pronti all’uso» (RUTF - ready-to-use therapeutic food) per arginare la strage di 5 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni che ogni anno muoiono per patologie collegate alla malnutrizione. I tradizionali aiuti alimentari puntano a combattere la fame ma sono quasi del tutto inefficaci per curare la malnutrizione nei bambini più piccoli.
ALIMENTI RIVOLUZIONARI- «Il problema non sta solo nella quantità di cibo che un bambino assume. È la qualità del cibo che conta – spiega Christophe Fournier, presidente internazionale di MSF – Senza il giusto apporto di vitamine e altri elementi nutritivi essenziali i bambini piccoli diventano vulnerabili a malattie che in condizioni normali il loro organismo potrebbe combattere facilmente. I continui appelli per un incremento degli aiuti alimentari, spesso fatti in nome dei bambini malnutriti, ignorano in realtà proprio i bisogni dei più piccoli che sono maggiormente a rischio di morire». Oggi sono disponibili rivoluzionari alimenti terapeutici pronti all’uso (RUTF) che contengono tutti gli elementi nutrizionali, le vitamine e i minerali indispensabili a un bambino per crescere. Questi alimenti speciali si presentano come una crema densa a base di latte in polvere, zucchero e olii vegetali e sono confezionati in porzioni mono-dose che li rendono particolarmente facili da trasportare, distribuire e conservare anche nei climi più caldi. Questi alimenti possono inoltre essere facilmente prodotti anche negli stessi Paesi maggiormente colpiti dalla malnutrizione. Il fatto che il prodotto sia pronto all’uso e non debba essere cucinato o diluito in acqua permette alle mamme di curare i propri figli a casa. In questo modo si riescono a curare molti più bambini.
RISULTATI - «Nei nostri progetti distribuiamo ai bambini malnutriti questi alimenti terapeutici pronti all’uso. È incredibile vedere come già dopo due settimane appaiono i primi segni evidenti di un miglioramento delle loro condizioni – spiega Andrea Minetti, medico esperto di nutrizione di MSF -. Ora che abbiamo visto con i nostri occhi che esiste una cura efficace e semplice per la malnutrizione non possiamo accettare che la quasi totalità dei bambini che ne hanno urgente bisogno ne siano esclusi. La lotta alla malnutrizione finisce spesso per essere oscurata da proposte più generali per combattere la fame nel mondo e la povertà. Gli aiuti alimentari tradizionali a base di farine arricchite non rispondono ai bisogni dei più piccoli e per questo chiediamo che una parte di questi aiuti vengano meglio utilizzati per l’acquisto di alimenti terapeutici».
LE ZONE PIU' A RISCHIO - La malnutrizione grave nella prima infanzia è molto comune in vaste aree del Corno d’Africa, nel Sahel e nel Sud dell’Asia: i così detti punti caldi della malnutrizione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ci siano 20 milioni di bambini gravemente malnutriti sul pianeta: secondo le valutazioni di MSF appena il 3% di loro nel 2007 riceverà le nuove cure a base di alimenti terapeutici. Attualmente l’Oms, l’Unicef e il Programma Alimentare Mondiale (Pam/Wfp) raccomandano l’uso degli alimenti terapeutici pronti all’uso solamente per i più gravi tra i bambini malnutriti. Visti i loro benefici nutrizionali questi alimenti dovrebbero invece essere utilizzati per tutti i bambini malnutriti al fine prevenire l’insorgenza di forme più gravi.
AGIRE IN ANTICIPO - «Invece di aspettare che il bambino si ammali gravemente abbiamo deciso di agire in anticipo – prosegue Andrea Minetti -. Per esempio in Niger distribuiamo alimenti pronti all’uso dall’alto valore nutritivo a tutti i bambini con meno di tre anni in modo da compensare le carenze della loro dieta. Questa strategia ci ha già permesso di raggiungere 62mila bambini e i primi risultati dimostrano che questo approccio è molto più efficace rispetto alla distribuzione di farine arricchite e olio». MSF chiede ai donatori istituzionali e alle agenzie della Nazioni Unite di intervenire urgentemente per accelerare l’espansione dell’uso degli alimenti terapeutici pronti all’uso. Per questo è necessaria una ri-allocazione dei fondi per coprire il costo di 750milioni di euro e curare così tutti i bambini a più alto rischio. Servirà inoltre un ripensamento delle strategie degli aiuti alimentari che includano i nuovi prodotti che contengono tutti gli elementi nutritivi essenziali per curare la malnutrizione infantile. MSF tratta i bambini malnutriti con gli alimenti terapeutici pronti all’uso da quando questi sono apparsi sul mercato alla fine degli Anni ’90. Nel 2006 MSF ha curato più di 150mila bambini colpiti da malnutrizione acuta in 22 Paesi.
Tirado daqui.
Monday, October 29, 2007
Fé de vida
Antonio Colinas-FE DE VIDA
Esperar junto a este mar (en el que nacieron las ideas)
sin ninguna idea. (Y así tenerlas todas).
Ser sólo la brisa en la copa del pino grande,
el aroma del azahar, la noche de orquídeas
en las calas olvidadas.
Sólo permanecer viendo el ave que pasa
y no regresa; quedar
esperando a que el cielo amarillo
arda y se limpie de relámpagos
que llegarán saltando de una isla a otra isla.
O contemplar la nube blanca
que, no siendo nada, parece ser feliz.
Quedar flotando y transcurriendo de aquí para allá,
sobre las olas que pasan,
como un remo perdido.
O seguir, como los delfines,
la dirección de un tiempo sentenciado.
Ser como la hora de las barcas en las noches de enero,
que se adormecen entre narcisos y faros.
Dejadme, no con la luz del conocimiento
(que nació y se alzó de este mar),
sino simplemente con la luz de este mar.
O con sus muchas luces:
las de oro encendido y las de frío verdor.
o con la luz de todos los azules.
Pero, sobre todo, dejadme con la luz blanca,
que es la que abrasa y derrota a los hombres heridos,
a los días tensos, a las ideas como cuchillos.
Ser como olivo o estanque.
Que alguien me tenga en su mano como a un puñado de sal.
O de luz.
Cerrar los ojos en el silencio del aroma
para que el corazón —al fin— pueda ver.
Cerrar los ojos para que el amor crezca en mí.
Dejadme compartiendo el silencio
y la soledad de los porches,
la hospitalidad de las puertas abiertas; dejadme
con el plenilunio de los ruiseñores de junio,
que guardan el temblor del agua en las últimas fuentes.
Dejadme con la libertad que se pierde
en los labios de una mujer.
Esperar junto a este mar (en el que nacieron las ideas)
sin ninguna idea. (Y así tenerlas todas).
Ser sólo la brisa en la copa del pino grande,
el aroma del azahar, la noche de orquídeas
en las calas olvidadas.
Sólo permanecer viendo el ave que pasa
y no regresa; quedar
esperando a que el cielo amarillo
arda y se limpie de relámpagos
que llegarán saltando de una isla a otra isla.
O contemplar la nube blanca
que, no siendo nada, parece ser feliz.
Quedar flotando y transcurriendo de aquí para allá,
sobre las olas que pasan,
como un remo perdido.
O seguir, como los delfines,
la dirección de un tiempo sentenciado.
Ser como la hora de las barcas en las noches de enero,
que se adormecen entre narcisos y faros.
Dejadme, no con la luz del conocimiento
(que nació y se alzó de este mar),
sino simplemente con la luz de este mar.
O con sus muchas luces:
las de oro encendido y las de frío verdor.
o con la luz de todos los azules.
Pero, sobre todo, dejadme con la luz blanca,
que es la que abrasa y derrota a los hombres heridos,
a los días tensos, a las ideas como cuchillos.
Ser como olivo o estanque.
Que alguien me tenga en su mano como a un puñado de sal.
O de luz.
Cerrar los ojos en el silencio del aroma
para que el corazón —al fin— pueda ver.
Cerrar los ojos para que el amor crezca en mí.
Dejadme compartiendo el silencio
y la soledad de los porches,
la hospitalidad de las puertas abiertas; dejadme
con el plenilunio de los ruiseñores de junio,
que guardan el temblor del agua en las últimas fuentes.
Dejadme con la libertad que se pierde
en los labios de una mujer.
Sunday, October 28, 2007
El Che
Roque Dalton-CREDO DEL CHÉ
El Ché Jesucristo
fue hecho prisionero
después de concluir su sermón en la montaña
(con fondo de tableteo de ametralladoras)
por rangers bolivianos y judíos
comandados por jefes yankees-romanos.
Lo condenaron los escribas y fariseos revisionistas
cuyo portavoz fue Caifás Monge
mientras Poncio Barrientos trataba de lavarse las manos
hablando en inglés militar
sobre las espaldas del pueblo que mascaba hojas de coca
sin siquiera tener la alternativa de un Barrabás
(Judas Iscariote fue de los que desertaron de la guerrilla
y enseñaron el camino a los rangers)
Después le colocaron a Cristo Guevara
una corona de espinas y una túnica de loco
y le colgaron un rótulo del pescuezo en son de burla
INRI: Instigador Natural de la Rebelión de los Infelices
Luego lo hicieron cargar su cruz encima de su asma
y lo crucificaron con ráfagas de M-2
y le cortaron la cabeza y las manos
y quemaron todo lo demás para que la ceniza
desapareciera con el viento
En vista de lo cual no le ha quedado al Ché otro camino
que el de resucitar
y quedarse a la izquierda de los hombres
exigiéndoles que apresuren el paso
por los siglos de los siglos
Amén.
El Ché Jesucristo
fue hecho prisionero
después de concluir su sermón en la montaña
(con fondo de tableteo de ametralladoras)
por rangers bolivianos y judíos
comandados por jefes yankees-romanos.
Lo condenaron los escribas y fariseos revisionistas
cuyo portavoz fue Caifás Monge
mientras Poncio Barrientos trataba de lavarse las manos
hablando en inglés militar
sobre las espaldas del pueblo que mascaba hojas de coca
sin siquiera tener la alternativa de un Barrabás
(Judas Iscariote fue de los que desertaron de la guerrilla
y enseñaron el camino a los rangers)
Después le colocaron a Cristo Guevara
una corona de espinas y una túnica de loco
y le colgaron un rótulo del pescuezo en son de burla
INRI: Instigador Natural de la Rebelión de los Infelices
Luego lo hicieron cargar su cruz encima de su asma
y lo crucificaron con ráfagas de M-2
y le cortaron la cabeza y las manos
y quemaron todo lo demás para que la ceniza
desapareciera con el viento
En vista de lo cual no le ha quedado al Ché otro camino
que el de resucitar
y quedarse a la izquierda de los hombres
exigiéndoles que apresuren el paso
por los siglos de los siglos
Amén.
Friday, October 26, 2007
Spese della chiesa
Piergiorgio Odifreddi è un logico matematico, che si occupa di un pò di tutto, ma ama trattare la Chiesa e le religioni, ovviamente in modo logicamente impertinente (come lui stesso dice): ovvero, l'impertinenza come NON appartenenza.
Odifreddi è davvero quindi slegato da "corde" politiche e religiose è osa, cosa che molti non fanno, criticare logicamente, un pò tutti quelli che se lo meritano.
Ho avuto il piacere di conoscerlo e di seguire parecchie sue lezioni, e l'ho sempre brillante nelle sue affermazioni.
Il suo recente libro "Perchè non possiamo essere Cristiani e tantomeno Cattolici" affronta una quantità considerevole di temi interessanti, tra cui "Quanto ci costa la chiesa?".
Un video tratto da YouTube, e ad opera di un utente attento, elenca tutte o quasi le spese che gravano sulle nostre spalle, per avere uno staterello chiamato Vaticano nel nostro paese.
Entrate totali della Chiesa Cattolica: 1 Miliardo di Euro.
Solo il 20% per interventi caritativi. Al clero il 34% e il 46 alle esigenze di culto.
Denaro speso dallo stato italiano a favore del Vaticano/Chiesa cattolica:
400 milioni di euro per lo stipendio degli insegnanti di religione.
250 milioni di euro per il finanziamento delle scuole cattoliche.
44 milioni di euro per il finanziamente delle quattro università cattoliche.
25 milioni di euro per la fornitura di infrastrutture idriche alla città del Vaticano in Roma
20 milioni di euro per L'università Campus biomedico dell'Opus Dei.
19 milioni di euro per l'assunzione di ruolo degli insegnanti di religione.
18 milioni per i buoni scuola degli studenti delle scuole cattoliche.
9 milioni per il fondo di sicurezza sociale dei dipendenti vaticani.
9 milioni per la ristrutturazione degli edifici religiosi.
8 per gli stipendi dei cappellani.
7 per il fondo di previdenza del clero.
5 milioni per l'ospedale di padre pio a San Giovanni Rotondo.
Evitando commenti scontati e fuori luogo, si può essere d'accordo o meno che lo stato debba pagare queste cifre, ma tutti dovrebbero almeno prendere atto di questi dati.
Tirado daqui.
Ode ao amor
José Cadalso-Oda Al amor
¡Niño temido por los dioses y hombres,
hijo de Venus, ciego Amor tirano,
con débil mano vencedor del mundo,
dulce Cupido!
Quita del arco la mortal saeta,
deja mi pecho, que con fuerza heriste
cuando la triste, la divina ninfa
me dominaba.
Desde que el hilo de su dulce vida
por dura Parca feneció cortado,
desde que el hado la llevo a la sacra
cumbre de Olimpo,
guardo constante la promesa antigua
de que ella sola me sería cara,
aunque pasara las estigias ondas
y el Aqueronte.
De lutos largos me vestí gimiendo
y de cipreses coroné mi frente;
eco doliente me siguió con quejas
hasta la tumba.
Sobre la losa que regué con sangre
de una paloma negra y escogida,
fue repetida por mi voz la triste,
justa promesa.
Nunca las voces que mi fe juraron
creo que puedan merecer olvido,
ni tú, Cupido, puedas olvidarlas
si las oíste.
«¡Sacra ceniza!», repetí mil veces,
«¡sombra de Filis!, si mi pecho adora
otra pastora, desde tan horrenda,
lóbrega noche,
haz que a mi falso corazón castigue
cuanto las cuevas del Averno ofrecen,
cuanto padecen los malvados, cuanto
Sísifo sufre.
Júrolo, Filis, por mi amor y el tuyo,
por Venus misma, por el sol y luna,
por la laguna que venera el mismo
omnipotente».
Las negras losas a mi fino acento
mil veces dieron ecos horrorosos,
y de dudosos ayes resonaron
túmulo y ara.
Dentro del mármol una voz confusa
dijo: «¡Dalmiro, cumple lo jurado!».
Quedé asombrado, sin mover los ojos,
pálido, yerto.
Temo, si rompo tan solemne voto,
que Jove apure su rigor conmigo,
y otro castigo, que es el ser llamado
pérfido, aleve.
Entre los brazos de mi nueva amante
temo la imagen de mi antiguo dueño:
ni alegre sueño ni tranquilo día
ha de dejarme.
En vano Clori, cuyo amor me ofreces,
y a cuyo pecho mi pasión inclinas,
pone divinas perfecciones juntas
ante mis ojos.
Ante mi vista se aparece Filis,
en mis oídos su lamento suena;
todo me llena de terror, y al suelo,
tímido, caigo.
Lástima causen a tu pecho, ¡oh niño!,
las voces mías, mis dolientes voces.
¡Ay!, si conoces el dolor que causas,
lástima tenme.
La nueva antorcha que encendiste, apaga,
y mi constante corazón respire.
Haz que no tire tu invencible brazo
otra saeta.
¡Ay!, que te alejas y me siento herido.
Ardo de amores, y con presto vuelo
llegas al cielo, y a tu madre cuentas
tu tiranía.
¡Niño temido por los dioses y hombres,
hijo de Venus, ciego Amor tirano,
con débil mano vencedor del mundo,
dulce Cupido!
Quita del arco la mortal saeta,
deja mi pecho, que con fuerza heriste
cuando la triste, la divina ninfa
me dominaba.
Desde que el hilo de su dulce vida
por dura Parca feneció cortado,
desde que el hado la llevo a la sacra
cumbre de Olimpo,
guardo constante la promesa antigua
de que ella sola me sería cara,
aunque pasara las estigias ondas
y el Aqueronte.
De lutos largos me vestí gimiendo
y de cipreses coroné mi frente;
eco doliente me siguió con quejas
hasta la tumba.
Sobre la losa que regué con sangre
de una paloma negra y escogida,
fue repetida por mi voz la triste,
justa promesa.
Nunca las voces que mi fe juraron
creo que puedan merecer olvido,
ni tú, Cupido, puedas olvidarlas
si las oíste.
«¡Sacra ceniza!», repetí mil veces,
«¡sombra de Filis!, si mi pecho adora
otra pastora, desde tan horrenda,
lóbrega noche,
haz que a mi falso corazón castigue
cuanto las cuevas del Averno ofrecen,
cuanto padecen los malvados, cuanto
Sísifo sufre.
Júrolo, Filis, por mi amor y el tuyo,
por Venus misma, por el sol y luna,
por la laguna que venera el mismo
omnipotente».
Las negras losas a mi fino acento
mil veces dieron ecos horrorosos,
y de dudosos ayes resonaron
túmulo y ara.
Dentro del mármol una voz confusa
dijo: «¡Dalmiro, cumple lo jurado!».
Quedé asombrado, sin mover los ojos,
pálido, yerto.
Temo, si rompo tan solemne voto,
que Jove apure su rigor conmigo,
y otro castigo, que es el ser llamado
pérfido, aleve.
Entre los brazos de mi nueva amante
temo la imagen de mi antiguo dueño:
ni alegre sueño ni tranquilo día
ha de dejarme.
En vano Clori, cuyo amor me ofreces,
y a cuyo pecho mi pasión inclinas,
pone divinas perfecciones juntas
ante mis ojos.
Ante mi vista se aparece Filis,
en mis oídos su lamento suena;
todo me llena de terror, y al suelo,
tímido, caigo.
Lástima causen a tu pecho, ¡oh niño!,
las voces mías, mis dolientes voces.
¡Ay!, si conoces el dolor que causas,
lástima tenme.
La nueva antorcha que encendiste, apaga,
y mi constante corazón respire.
Haz que no tire tu invencible brazo
otra saeta.
¡Ay!, que te alejas y me siento herido.
Ardo de amores, y con presto vuelo
llegas al cielo, y a tu madre cuentas
tu tiranía.
Thursday, October 25, 2007
Free Daw Aung San Suu Kyi
Free bird towards a free Burma
(By Daw Aung San Suu Kyi)
My home...
where I was born and raised
used to be warm and lovely
now filled with darkness and horror.
My family...
whom I had grown with
used to be cheerful and lively
now living with fear and terror.
My friends...
whom I shared my life with
used to be pure and merry
now living with wounded heart.
A free bird...
which is just freed
used to be caged
now flying with an olive branch
for the place it loves. A free bird towards a Free Burma.
De quién es mi pasado
Jorge Luis Borges-ALL OUR YESTERDAYS
Quiero saber de quién es mi pasado.
¿De cuál de los que fui? ¿Del ginebrino
que trazó algún hexámetro latino
que los lustrales años han borrado?
¿Es de aquel niño que buscó en la entera
biblioteca del padre las puntuales
curvaturas del mapa y las ferales
formas que son el tigre y la pantera?
¿O de aquel otro que empujó una puerta
detrás de la que un hombre se moría
para siempre, y besó en el blanco día
la cara que se va y la cara muerta?
Soy los que ya no son. Inútilmente
soy en la tarde esa perdida gente.
Quiero saber de quién es mi pasado.
¿De cuál de los que fui? ¿Del ginebrino
que trazó algún hexámetro latino
que los lustrales años han borrado?
¿Es de aquel niño que buscó en la entera
biblioteca del padre las puntuales
curvaturas del mapa y las ferales
formas que son el tigre y la pantera?
¿O de aquel otro que empujó una puerta
detrás de la que un hombre se moría
para siempre, y besó en el blanco día
la cara que se va y la cara muerta?
Soy los que ya no son. Inútilmente
soy en la tarde esa perdida gente.
Latin American idiot
The return of the Idiot (revisited)
Ten years ago, Colombian writer Plinio Apuleyo Mendoza, Cuban writer Carlos Alberto Montaner, and I wrote Guide to the Perfect Latin American Idiot, a book criticizing opinion and political leaders who clung to ill-conceived political myths despite evidence to the contrary. The “Idiot” species, we suggested, bore responsibility for Latin America’s underdevelopment. Its beliefs - revolution, economic nationalism, hatred of the United States, faith in the government as an agent of social justice, a passion for strongman rule over the rule of law - derived, in our opinion, from an inferiority complex (...)
Because of the inexorable passing of time, today’s young Latin American Idiots prefer Shakira’s pop ballads to Pérez Prado’s mambos and no longer sing leftist anthems like “The Internationale” or “Until Always Comandante” (...)
Two leaders in particular inspire today’s Idiot: President Hugo Chávez of Venezuela and President Evo Morales of Bolivia. Chávez is seen as the perfect successor to Cuba’s Fidel Castro (whom the Idiot also admires). He came to power through the ballot box, which exonerates him from the need to justify armed struggle, and he has abundant oil, which means he can put his money where his mouth is when it comes to championing social causes. The Idiot also credits Chávez with the most progressive policy of all - putting the military, that paradigm of oligarchic rule, to work on social programs.
For his part, Bolivia’s Evo Morales has indigenista appeal. In the eyes of the Idiot, the former coca farmer is the reincarnation of Túpac Katari, an 18th-century Aymara rebel who, before his execution by Spanish colonial authorities, vowed, “I shall return and I shall be millions.” Vargas Llosa
Tirado daqui.
Wednesday, October 24, 2007
Classy
Se querem ver gente com classe e bem vestida não podem perder este site, é um must.
Foi desse site que tirei esta fotografia.
Nós os homens
Jorge Debravo-NOSOTROS LOS HOMBRES
Vengo a buscarte, hermano, porque traigo el poema,
que es traer el mundo a las espaldas.
Soy como un perro que ruge a solas, ladra
a las fieras del odio y de la angustia,
echa a rodar la vida en mitad de la noche.
Traigo sueños, tristezas, alegrías, mansedumbres,
democracias quebradas como cántaros,
religiones mohosas hasta el alma,
rebeliones en germen echando lenguas de humo,
árboles que no tienen
suficientes resinas amorosas.
Estamos sin amor, hermano mío,
y esto es como estar ciegos en mitad de la tierra.
Vengo a buscarte, hermano, porque traigo el poema,
que es traer el mundo a las espaldas.
Soy como un perro que ruge a solas, ladra
a las fieras del odio y de la angustia,
echa a rodar la vida en mitad de la noche.
Traigo sueños, tristezas, alegrías, mansedumbres,
democracias quebradas como cántaros,
religiones mohosas hasta el alma,
rebeliones en germen echando lenguas de humo,
árboles que no tienen
suficientes resinas amorosas.
Estamos sin amor, hermano mío,
y esto es como estar ciegos en mitad de la tierra.
Tuesday, October 23, 2007
A janela
Vicente Aleixandre-LA VENTANA
Cuánta tristeza en una hoja del otoño,
dudosa siempre en último extremo si presentarse como cuchillo.
Cuánta vacilación en el color de los ojos
antes de quedar frío como una gota amarilla.
Tu tristeza, minutos antes de morirte,
sólo comparable con la lentitud de una rosa cuando acaba,
esa sed con espinas que suplica a lo que no puede,
gesto de un cuello, dulce carne que tiembla.
Eras hermosa como la dificultad de respirar en un cuarto cerrado.
Transparente como la repugnancia a un sol ubérrimo,
tibia como ese suelo donde nadie ha pisado,
lenta como el cansancio que rinde al aire quieto.
Tu mano, bajo la cual se veían las cosas,
cristal finísimo que no acarició nunca otra mano,
flor o vidrio que, nunca deshojado,
era verde al reflejo de una luna de hierro.
Tu carne, en que la sangre detenida apenas consentía
una triste burbuja rompiendo entre los dientes,
como la débil palabra que casi ya es redonda
detenida en la lengua dulcemente de noche.
Tu sangre, en que ese limo donde no entra la luz
es como el beso falso de unos polvos o un talco,
un rostro en que destella tenuemente la muerte,
beso dulce que da una cera enfriada.
Oh tú, amoroso poniente que te despides como dos brazos largos
cuando por una ventana ahora abierta a ese frío
una fresca mariposa penetra,
alas, nombre o dolor, pena contra la vida
que se marcha volando con el último rayo.
Oh tú, calor, rubí o ardiente pluma,
pájaros encendidos que son nuncio de la noche,
plumaje con forma de corazón colorado
que en lo negro se extiende como dos alas grandes.
Barcos lejanos, silbo amoroso, velas que no suenan,
silencio como mano que acaricia lo quieto,
beso inmenso del mundo como una boca sola,
como dos bocas fijas que nunca se separan.
¡Oh verdad, oh morir una noche de otoño,
cuerpo largo que viaja hacia la luz del fondo,
agua dulce que sostienes un cuerpo concedido,
verde o frío palor que vistes un desnudo!
Cuánta tristeza en una hoja del otoño,
dudosa siempre en último extremo si presentarse como cuchillo.
Cuánta vacilación en el color de los ojos
antes de quedar frío como una gota amarilla.
Tu tristeza, minutos antes de morirte,
sólo comparable con la lentitud de una rosa cuando acaba,
esa sed con espinas que suplica a lo que no puede,
gesto de un cuello, dulce carne que tiembla.
Eras hermosa como la dificultad de respirar en un cuarto cerrado.
Transparente como la repugnancia a un sol ubérrimo,
tibia como ese suelo donde nadie ha pisado,
lenta como el cansancio que rinde al aire quieto.
Tu mano, bajo la cual se veían las cosas,
cristal finísimo que no acarició nunca otra mano,
flor o vidrio que, nunca deshojado,
era verde al reflejo de una luna de hierro.
Tu carne, en que la sangre detenida apenas consentía
una triste burbuja rompiendo entre los dientes,
como la débil palabra que casi ya es redonda
detenida en la lengua dulcemente de noche.
Tu sangre, en que ese limo donde no entra la luz
es como el beso falso de unos polvos o un talco,
un rostro en que destella tenuemente la muerte,
beso dulce que da una cera enfriada.
Oh tú, amoroso poniente que te despides como dos brazos largos
cuando por una ventana ahora abierta a ese frío
una fresca mariposa penetra,
alas, nombre o dolor, pena contra la vida
que se marcha volando con el último rayo.
Oh tú, calor, rubí o ardiente pluma,
pájaros encendidos que son nuncio de la noche,
plumaje con forma de corazón colorado
que en lo negro se extiende como dos alas grandes.
Barcos lejanos, silbo amoroso, velas que no suenan,
silencio como mano que acaricia lo quieto,
beso inmenso del mundo como una boca sola,
como dos bocas fijas que nunca se separan.
¡Oh verdad, oh morir una noche de otoño,
cuerpo largo que viaja hacia la luz del fondo,
agua dulce que sostienes un cuerpo concedido,
verde o frío palor que vistes un desnudo!
Monday, October 22, 2007
Pobre menino
«Dentro do homossexual vive um pobre menino que se consome em desejos insatisfeitos»
Vale a pena ler este artigo de Maria Fernanda Barroca, publicado no "Diário do Minho". Está na íntegra aqui em baixo. Mais um texto "científico" sobre o tratamento da homossexualidade. «A homossexualidade é uma doença e a medicina ocupa-se também de outras enfermidades que nem sempre se podem curar, como a asma ou o reumático, mas nenhum médico concluiria que não tem sentido submeter esses pacientes a tratamentos, ou estudar novas terapias». E explica: «dentro do homossexual vive um pobre menino que se consome em desejos insatisfeitos». Vele a pena ler na íntegra.
A terapia das tendências homossexuais
Maria Fernanda Barroca
O psicólogo holandês Gerard vander Aardweg, apoiado na sua experiência clínica, afirma que a homossexualidade se pode superar com uma terapia adequada. No seu entender a ideia de que a homossexualidade não pode mudar é errada. Uma das razões que dá para esta visão fatalista do problema é o escasso número de pessoas que se têm dedicado à investigação e tratamento da homossexualidade.
O grande público olha para a homossexualidade com preconceitos e ideias superadas. Desta atitude se aproveita a estratégia da emancipação dos homossexuais assumidos, que pretendem estabelecer na sociedade alguns dogmas de cariz libertário: «a homossexualidade é uma variante normal da sexualidade»; «o único problema é a discriminação social»; «o homossexual nasce, não se faz»; «o homossexual não pode mudar e muito menos curar-se». Esta última afirmação expressa a atitude fatalista que se encontra cada vez mais difundida.
Há duas categorias de pessoas que se esforçam no tratamento da homossexualidade: uma são os psicólogos, psiquiatras e psico-analistas; outra, os grupos cristãos, de maioria protestante. De facto, quanto mais um homossexual se orientar para a fé em Deus, tanto melhor vê o sentido da sua vida, purifica a sua consciência e ganha vontade de lutar contra as suas tendências desordenadas. As causas devem localizar-se nos anos da juventude e o papel importante que tem neste processo o relacionamento com os pais. No homossexual está subjacente uma personalidade bloqueada, baseada numa vida sexual imatura e infantil. Ainda que os estudiosos do problema diferem na maior ou menor importância que se concede aos factores genéticos, existe um acordo em conceber a homossexualidade como uma reacção perante a dificuldade de se identificar com o próprio sexo, um «problema de identidade sexual».
É de realçar a importância que tem, para que um filho se identifique positivamente com a sua situação sexual, o facto de que tenha estima pelo progenitor do mesmo sexo. O adulto homossexual é uma pessoa que não viveu os anos da juventude com jovens do mesmo sexo. A criança ou o jovem dramatiza a sua situação e procura o afecto das pessoas do mesmo sexo que não o aceitam. Esta necessidade erotizada de atenção leva às fantasias homossexuais. Assim, o psiquiatra holandês Arndt resume esta situação numa fórmula: «dentro do homossexual vive um pobre menino que se consome em desejos insatisfeitos».
A terapia deve orientar-se a ensinar ao paciente a reconhecer e combater toda a gama de expressões de egocentrismo infantil, de medos, de sentimentos de inferioridade, de reacções de protesto, de motivações egocêntricas no modo de encarar a amizade e as relações sociais. O amadurecimento dá-se quando cresce a confiança em si próprio. Só quem se sente homem (ou mulher), e é feliz de o ser, está em condições de sentir atracção pelo outro sexo. Uma mulher lésbica curou-se radicalmente quando entendeu em profundidade o que lhe disse um sacerdote católico, dotado de bom sentido psicológico: «continuas a ser uma menina pequena». No homossexual também existem instintos heterossexuais, mas são bloqueados por um complexo de inferioridade homossexual. Os que desejam tratar-se melhoram em um ou dois anos e com o bem-estar que sentem e a alegria de viver, o seu egocentrismo esfuma-se. Alguns acabam por se enamorar por pessoas do outro sexo, casam e constituem família.
O caminho da libertação para um homossexual não passa pela compaixão e muito menos pelo reconhecimento
da “normalidade” das relações homossexuais. Ora, o que nós vemos actualmente é que os homossexuais querem ser tratados como as outras pessoas, assumindo-se em manifestações provocatórias, exigindo para si um direito que negam aos outros.
A homossexualidade é uma doença e a medicina ocupa-se também de outras enfermidades que nem sempre se podem curar, como a asma ou o reumático, mas nenhum médico concluiria que não tem sentido submeter esses pacientes a tratamentos, ou estudar novas terapias. Com os homossexuais passa-se o mesmo – não há outro caminho de libertação senão a luta por corrigir as tendências desviadas. Caso contrário, à frustração junta-se uma vida infeliz disfarçada por uma ruidosa alegria só aparente, que leva à destruição psíquica e ao desespero.
Muito ligada à homossexualidade está a problemática da SIDA e custa um pouco a aceitar que aqueles que aplicam ao tabaco a frase “a natureza sempre passa factura se se vai contra ela”, excluam a homossexualidade e as suas consequências dramáticas para terem para com eles e elas uma só atitude – compreensão (hipócrita, digo eu). Não precisam os homossexuais de compaixão, muito menos de discriminação, mas sim de serem tratados como doentes a quem é preciso aplicar a terapia adequada.
Esta senhora é que precisa de tratamento!!
Tirado daqui.
Vale a pena ler este artigo de Maria Fernanda Barroca, publicado no "Diário do Minho". Está na íntegra aqui em baixo. Mais um texto "científico" sobre o tratamento da homossexualidade. «A homossexualidade é uma doença e a medicina ocupa-se também de outras enfermidades que nem sempre se podem curar, como a asma ou o reumático, mas nenhum médico concluiria que não tem sentido submeter esses pacientes a tratamentos, ou estudar novas terapias». E explica: «dentro do homossexual vive um pobre menino que se consome em desejos insatisfeitos». Vele a pena ler na íntegra.
A terapia das tendências homossexuais
Maria Fernanda Barroca
O psicólogo holandês Gerard vander Aardweg, apoiado na sua experiência clínica, afirma que a homossexualidade se pode superar com uma terapia adequada. No seu entender a ideia de que a homossexualidade não pode mudar é errada. Uma das razões que dá para esta visão fatalista do problema é o escasso número de pessoas que se têm dedicado à investigação e tratamento da homossexualidade.
O grande público olha para a homossexualidade com preconceitos e ideias superadas. Desta atitude se aproveita a estratégia da emancipação dos homossexuais assumidos, que pretendem estabelecer na sociedade alguns dogmas de cariz libertário: «a homossexualidade é uma variante normal da sexualidade»; «o único problema é a discriminação social»; «o homossexual nasce, não se faz»; «o homossexual não pode mudar e muito menos curar-se». Esta última afirmação expressa a atitude fatalista que se encontra cada vez mais difundida.
Há duas categorias de pessoas que se esforçam no tratamento da homossexualidade: uma são os psicólogos, psiquiatras e psico-analistas; outra, os grupos cristãos, de maioria protestante. De facto, quanto mais um homossexual se orientar para a fé em Deus, tanto melhor vê o sentido da sua vida, purifica a sua consciência e ganha vontade de lutar contra as suas tendências desordenadas. As causas devem localizar-se nos anos da juventude e o papel importante que tem neste processo o relacionamento com os pais. No homossexual está subjacente uma personalidade bloqueada, baseada numa vida sexual imatura e infantil. Ainda que os estudiosos do problema diferem na maior ou menor importância que se concede aos factores genéticos, existe um acordo em conceber a homossexualidade como uma reacção perante a dificuldade de se identificar com o próprio sexo, um «problema de identidade sexual».
É de realçar a importância que tem, para que um filho se identifique positivamente com a sua situação sexual, o facto de que tenha estima pelo progenitor do mesmo sexo. O adulto homossexual é uma pessoa que não viveu os anos da juventude com jovens do mesmo sexo. A criança ou o jovem dramatiza a sua situação e procura o afecto das pessoas do mesmo sexo que não o aceitam. Esta necessidade erotizada de atenção leva às fantasias homossexuais. Assim, o psiquiatra holandês Arndt resume esta situação numa fórmula: «dentro do homossexual vive um pobre menino que se consome em desejos insatisfeitos».
A terapia deve orientar-se a ensinar ao paciente a reconhecer e combater toda a gama de expressões de egocentrismo infantil, de medos, de sentimentos de inferioridade, de reacções de protesto, de motivações egocêntricas no modo de encarar a amizade e as relações sociais. O amadurecimento dá-se quando cresce a confiança em si próprio. Só quem se sente homem (ou mulher), e é feliz de o ser, está em condições de sentir atracção pelo outro sexo. Uma mulher lésbica curou-se radicalmente quando entendeu em profundidade o que lhe disse um sacerdote católico, dotado de bom sentido psicológico: «continuas a ser uma menina pequena». No homossexual também existem instintos heterossexuais, mas são bloqueados por um complexo de inferioridade homossexual. Os que desejam tratar-se melhoram em um ou dois anos e com o bem-estar que sentem e a alegria de viver, o seu egocentrismo esfuma-se. Alguns acabam por se enamorar por pessoas do outro sexo, casam e constituem família.
O caminho da libertação para um homossexual não passa pela compaixão e muito menos pelo reconhecimento
da “normalidade” das relações homossexuais. Ora, o que nós vemos actualmente é que os homossexuais querem ser tratados como as outras pessoas, assumindo-se em manifestações provocatórias, exigindo para si um direito que negam aos outros.
A homossexualidade é uma doença e a medicina ocupa-se também de outras enfermidades que nem sempre se podem curar, como a asma ou o reumático, mas nenhum médico concluiria que não tem sentido submeter esses pacientes a tratamentos, ou estudar novas terapias. Com os homossexuais passa-se o mesmo – não há outro caminho de libertação senão a luta por corrigir as tendências desviadas. Caso contrário, à frustração junta-se uma vida infeliz disfarçada por uma ruidosa alegria só aparente, que leva à destruição psíquica e ao desespero.
Muito ligada à homossexualidade está a problemática da SIDA e custa um pouco a aceitar que aqueles que aplicam ao tabaco a frase “a natureza sempre passa factura se se vai contra ela”, excluam a homossexualidade e as suas consequências dramáticas para terem para com eles e elas uma só atitude – compreensão (hipócrita, digo eu). Não precisam os homossexuais de compaixão, muito menos de discriminação, mas sim de serem tratados como doentes a quem é preciso aplicar a terapia adequada.
Esta senhora é que precisa de tratamento!!
Tirado daqui.
Desnudo
Mariano Brull-DESNUDO
Su cuerpo resonaba en el espejo
vertebrado en imágenes distantes:
uno y múltiple, espeso, de reflejo
reverso ahora de inmediato antes.
Entraba de anterior huida al dejo
de sí mismo, en retornos palpitantes,
retenido, disperso, al entrecejo
de dos voces, dos ojos, dos instantes.
Toda su ausencia estaba —en su presencia—
dilatada hasta el próximo asidero
del comienzo inminente de otra ausencia:
rumbo intacto de espacio sin sendero
al inmóvil azar de su querencia,
¡estatua de su cuerpo venidero!
Su cuerpo resonaba en el espejo
vertebrado en imágenes distantes:
uno y múltiple, espeso, de reflejo
reverso ahora de inmediato antes.
Entraba de anterior huida al dejo
de sí mismo, en retornos palpitantes,
retenido, disperso, al entrecejo
de dos voces, dos ojos, dos instantes.
Toda su ausencia estaba —en su presencia—
dilatada hasta el próximo asidero
del comienzo inminente de otra ausencia:
rumbo intacto de espacio sin sendero
al inmóvil azar de su querencia,
¡estatua de su cuerpo venidero!
Sunday, October 21, 2007
Friday, October 19, 2007
Um céu
Ana Luísa Amaral-Um céu e nada mais
Um céu e nada mais - que só um temos,
como neste sistema: só um sol.
Mas luzes a fingir, dependuradas
em abóbada azul - como de tecto.
E o seu número tal, que deslumbrados
eram os teus olhos, se tas mostrasse,
amor, tão de ribalta azul, como de
circo, e dança então comigo no
trapézio, poema em alto risco,
e um levíssimo toque de mistério.
Pega nas lantejoulas a fingir
de sóis mal descobertos e lança
agora a âncora maior sobre o meu
coração. Que não te assuste o som
desse trovão que ainda agora ouviste,
era de deus a sua voz, ou mito,
era de um anjo por demais caído.
Mas, de verdade: natural fenómeno
a invadir-te as veias e o cérebro,
tão frágil como álcool, tão de
potente e liso como álcool
implodindo do céu e das estrelas,
imensas a fingir e penduradas
sobre abóbada azul. Se te mostrasse,
amor, a cor do pesadelo que por
aqui passou agora mesmo, um céu
e nada mais - que nada temos,
que não seja esta angústia de
mortais (e a maldição da rima,
já agora, a invadir poema em alto
risco), e a dança no trapézio
proibido, sem rede, deus, ou lei,
nem música de dança, nem sequer
inocência de criança, amor,
nem inocência. Um céu e nada mais.
Um céu e nada mais - que só um temos,
como neste sistema: só um sol.
Mas luzes a fingir, dependuradas
em abóbada azul - como de tecto.
E o seu número tal, que deslumbrados
eram os teus olhos, se tas mostrasse,
amor, tão de ribalta azul, como de
circo, e dança então comigo no
trapézio, poema em alto risco,
e um levíssimo toque de mistério.
Pega nas lantejoulas a fingir
de sóis mal descobertos e lança
agora a âncora maior sobre o meu
coração. Que não te assuste o som
desse trovão que ainda agora ouviste,
era de deus a sua voz, ou mito,
era de um anjo por demais caído.
Mas, de verdade: natural fenómeno
a invadir-te as veias e o cérebro,
tão frágil como álcool, tão de
potente e liso como álcool
implodindo do céu e das estrelas,
imensas a fingir e penduradas
sobre abóbada azul. Se te mostrasse,
amor, a cor do pesadelo que por
aqui passou agora mesmo, um céu
e nada mais - que nada temos,
que não seja esta angústia de
mortais (e a maldição da rima,
já agora, a invadir poema em alto
risco), e a dança no trapézio
proibido, sem rede, deus, ou lei,
nem música de dança, nem sequer
inocência de criança, amor,
nem inocência. Um céu e nada mais.
Thursday, October 18, 2007
Pais brumoso
Amado Nervo-Yo vengo de un país brumoso y lejano
Yo vengo de un brumoso país lejano,
regido por un viejo monarca triste...
Mi numen sólo busca lo que es arcano,
mi numen sólo adora lo que no existe.
Tu lloras por un sueño que está lejano,
tu aguardas un cariño que ya no existe;
se pierden tus pupilas en el arcano
como dos alas negras, y estás muy triste.
Eres mía; nacimos de un mismo arcano,
y vamos, desdeñosos de cuanto existe,
en pos de ese brumoso país lejano,
regido por un viejo monarca triste...
Yo vengo de un brumoso país lejano,
regido por un viejo monarca triste...
Mi numen sólo busca lo que es arcano,
mi numen sólo adora lo que no existe.
Tu lloras por un sueño que está lejano,
tu aguardas un cariño que ya no existe;
se pierden tus pupilas en el arcano
como dos alas negras, y estás muy triste.
Eres mía; nacimos de un mismo arcano,
y vamos, desdeñosos de cuanto existe,
en pos de ese brumoso país lejano,
regido por un viejo monarca triste...
Friday, October 12, 2007
Cantos de vida e esperança
Rubén Darío-Cantos de vida y esperanza
I.
Yo soy aquel que ayer no más decía
el verso azul y la canción profana,
en cuya noche un ruiseñor había
que era alondra de luz por la mañana.
El dueño fui de mi jardín de sueño,
lleno de rosas y de cisnes vagos;
el dueño de las tórtolas, el dueño
de góndolas y liras en los lagos;
y muy siglo diez y ocho y muy antiguo
y muy moderno; audaz, cosmopolita;
con Hugo fuerte y con Verlaine ambiguo,
y una sed de ilusiones infinita.
Potro sin freno se lanzó mi instinto,
mi juventud montó potro sin freno;
iba embriagada y con puñal al cinto;
si no cayó, fue porque Dios es bueno.
En mi jardín se vio una estatua bella;
se juzgó mármol y era carne viva;
un alma joven habitaba en ella,
sentimental, sensible, sensitiva.
Y tímida ante al mundo, de manera
que encerrada en silencio no salía,
sino cuando en la dulce primavera
era la hora de la melodía...
Hora de ocaso y de discreto beso;
hora crepuscular y de retiro;
hora de madrigal y de embeleso,
de «te adoro», de «¡ay!» y de suspiro.
Y entonces era en la dulzaina un juego
de misteriosas gamas cristalinas,
un renovar de notas del Pan griego
y un desgranar de músicas latinas.
Con aire y con ardor tan vivo,
que a la estuatua nacían de repente
en el muslo viril patas de chivo
y dos cuernos de sátiro en la frente.
Como la Galatea gongorina
me encantó la marquesa verleniana,
y así juntaba a la pasión divina
una sensual hiperestesia humana;
todo ansia, todo ardor, sensación pura
y vigor natural; y sin falsía,
y sin comedia y sin literatura...:
si hay un alma sincera, ésa es la mía.
La torre de marfil tentó mi anhelo;
y quise encerrarme dentro de mí mismo,
y tuve hambre de espacio y sed de cielo
desde las sombras de mi propio abismo.
Como la esponja que la sal satura
en el jugo del mar, fué el dulce y tierno
corazón mío, henchido de amargura
por el mundo, la carne y el infierno.
Mas, por la gracia de Dios, en mi conciencia
el Bien supo elegir la mejor parte;
y si hubo áspera hiel en mi existencia,
melificó toda acritud el Arte.
Mi intelecto libré de pensar bajo,
bañó el agua castalia el alma mía,
peregrinó mi corazón y trajo
de la sagrada selva la armonía.
¡Oh, la selva sagrada! ¡Oh, la profunda
emanación del corazón divino
de la sagrada selva! ¡Oh, la fecunda
fuente cuyo virtud vence al destino!
Bosque ideal que lo real complica,
allí el cuerpo arde y vive y Psiquis vuela;
mientras abajo el sátiro fornica,
ebria de azul deslíe Filomela.
Perla de ensueño y música amorosa
en la cúpula en flor del laurel verde,
Hipsipila sutil liba en la rosa,
y la boca del fauno el pezón muerde.
Allí va el dios en celo tras la hembra,
y la caña de Pan se alza del lodo;
la eterna vida sus semilas siembra,
y brota la armonía del gran Todo.
El alma que entra allí debe ir desnuda,
temblando de deseo y fiebre santa,
sobre cardo heridor y espina aguda:
así sueña, así vibra y así canta.
Vida, luz y verdad, tal triple llama
produce la interior llama infinita.
El Arte puro como Cristo exclama:
¡Ego sum lux et veritas et vita!
Y la vida es misterio, la luz ciega
y la verdad inaccesible asombra;
la adusta perfección jamás se entrega,
y el secreto ideal duerme en la sombra.
Por eso ser sincero es ser potente;
de desnuda que está, brilla la estrella;
el agua dice el alma de la fuente
en la voz de cristal que fluye de ella.
Tal fué mi intento, hacer del alma pura
mía, una estrella, una fuente sonora,
con el horro de la literatura
y loco de crepúsculo y de aurora.
Del crepúsculo azul que da la pauta
que los celestes éxtasis inspira,
bruma y tono menor ¡toda la flauta!,
y Aurora, hija del Sol ¡toda la lira!
Pasó una piedra que lanzó una honda;
pasó una flecha que aguzó un violento.
La piedra de la honda fué a la onda,
y la flecha del odio fuése al viento.
La virtud está en ser tranquilo y fuerte;
con el fuego interior todo se abrasa;
si triunfa del rencor y de la muerte,
y hacia Belén... ¡la caravana pasa!
I.
Yo soy aquel que ayer no más decía
el verso azul y la canción profana,
en cuya noche un ruiseñor había
que era alondra de luz por la mañana.
El dueño fui de mi jardín de sueño,
lleno de rosas y de cisnes vagos;
el dueño de las tórtolas, el dueño
de góndolas y liras en los lagos;
y muy siglo diez y ocho y muy antiguo
y muy moderno; audaz, cosmopolita;
con Hugo fuerte y con Verlaine ambiguo,
y una sed de ilusiones infinita.
Potro sin freno se lanzó mi instinto,
mi juventud montó potro sin freno;
iba embriagada y con puñal al cinto;
si no cayó, fue porque Dios es bueno.
En mi jardín se vio una estatua bella;
se juzgó mármol y era carne viva;
un alma joven habitaba en ella,
sentimental, sensible, sensitiva.
Y tímida ante al mundo, de manera
que encerrada en silencio no salía,
sino cuando en la dulce primavera
era la hora de la melodía...
Hora de ocaso y de discreto beso;
hora crepuscular y de retiro;
hora de madrigal y de embeleso,
de «te adoro», de «¡ay!» y de suspiro.
Y entonces era en la dulzaina un juego
de misteriosas gamas cristalinas,
un renovar de notas del Pan griego
y un desgranar de músicas latinas.
Con aire y con ardor tan vivo,
que a la estuatua nacían de repente
en el muslo viril patas de chivo
y dos cuernos de sátiro en la frente.
Como la Galatea gongorina
me encantó la marquesa verleniana,
y así juntaba a la pasión divina
una sensual hiperestesia humana;
todo ansia, todo ardor, sensación pura
y vigor natural; y sin falsía,
y sin comedia y sin literatura...:
si hay un alma sincera, ésa es la mía.
La torre de marfil tentó mi anhelo;
y quise encerrarme dentro de mí mismo,
y tuve hambre de espacio y sed de cielo
desde las sombras de mi propio abismo.
Como la esponja que la sal satura
en el jugo del mar, fué el dulce y tierno
corazón mío, henchido de amargura
por el mundo, la carne y el infierno.
Mas, por la gracia de Dios, en mi conciencia
el Bien supo elegir la mejor parte;
y si hubo áspera hiel en mi existencia,
melificó toda acritud el Arte.
Mi intelecto libré de pensar bajo,
bañó el agua castalia el alma mía,
peregrinó mi corazón y trajo
de la sagrada selva la armonía.
¡Oh, la selva sagrada! ¡Oh, la profunda
emanación del corazón divino
de la sagrada selva! ¡Oh, la fecunda
fuente cuyo virtud vence al destino!
Bosque ideal que lo real complica,
allí el cuerpo arde y vive y Psiquis vuela;
mientras abajo el sátiro fornica,
ebria de azul deslíe Filomela.
Perla de ensueño y música amorosa
en la cúpula en flor del laurel verde,
Hipsipila sutil liba en la rosa,
y la boca del fauno el pezón muerde.
Allí va el dios en celo tras la hembra,
y la caña de Pan se alza del lodo;
la eterna vida sus semilas siembra,
y brota la armonía del gran Todo.
El alma que entra allí debe ir desnuda,
temblando de deseo y fiebre santa,
sobre cardo heridor y espina aguda:
así sueña, así vibra y así canta.
Vida, luz y verdad, tal triple llama
produce la interior llama infinita.
El Arte puro como Cristo exclama:
¡Ego sum lux et veritas et vita!
Y la vida es misterio, la luz ciega
y la verdad inaccesible asombra;
la adusta perfección jamás se entrega,
y el secreto ideal duerme en la sombra.
Por eso ser sincero es ser potente;
de desnuda que está, brilla la estrella;
el agua dice el alma de la fuente
en la voz de cristal que fluye de ella.
Tal fué mi intento, hacer del alma pura
mía, una estrella, una fuente sonora,
con el horro de la literatura
y loco de crepúsculo y de aurora.
Del crepúsculo azul que da la pauta
que los celestes éxtasis inspira,
bruma y tono menor ¡toda la flauta!,
y Aurora, hija del Sol ¡toda la lira!
Pasó una piedra que lanzó una honda;
pasó una flecha que aguzó un violento.
La piedra de la honda fué a la onda,
y la flecha del odio fuése al viento.
La virtud está en ser tranquilo y fuerte;
con el fuego interior todo se abrasa;
si triunfa del rencor y de la muerte,
y hacia Belén... ¡la caravana pasa!
Thursday, October 11, 2007
Vulcões
Amado Nervo-Los Volcanes
Cuando surgen las albas radiosas,
los Volcanes nos fingen al par
dos inmensos montones de rosas
que el mes de las flores olvidó al pasar.
Cuando el sol su divino tesoro
manda al valle de luz tropical,
los Volcanes parecen de oro:
dos cúpulas áureas de un templo ideal.
Mas que lleguen las tardes, y, entonces,
a su luz los volcanes serán
como dos fortalezas de bronces
qie siempre velando por México están.
Cuando surgen las albas radiosas,
los Volcanes nos fingen al par
dos inmensos montones de rosas
que el mes de las flores olvidó al pasar.
Cuando el sol su divino tesoro
manda al valle de luz tropical,
los Volcanes parecen de oro:
dos cúpulas áureas de un templo ideal.
Mas que lleguen las tardes, y, entonces,
a su luz los volcanes serán
como dos fortalezas de bronces
qie siempre velando por México están.
Tuesday, October 09, 2007
Olhos verdes
Salvador Díaz Mirón-Ojos verdes
Ojos que nunca me veis,
por recelo o por decoro,
ojos de esmeralda y oro,
fuerza es que me contempléis;
quiero que me consoléis
hermosos ojos que adoro;
¡estoy triste y os imploro
puesta en tierra la rodilla!
¡Piedad para el que se humilla,
ojos de esmeralda y oro!
Ojos en que reverbera
la estrella crepuscular,
ojos verdes como el mar,
como el mar por la ribera,
ojos de lumbre hechicera
que ignoráis lo que es llorar,
¡glorificad mi penar!
¡No me desoléis así!
¡Tened compasión de mí
Ojos verdes como el mar!
Ojos cuyo amor anhelo
porque alegran cuanto alcanza,
ojos color de esperanza,
con lejanías de cielo:
ojos que a través del velo
radian bienaventuranza,
mi alma a vosotros se lanza
en alas de la embriaguez,
miradme una solo vez,
ojos color de esperanza.
Cese ya vuestro desvío,
ojos que me dais congojas;
ojos con aspecto de hojas
empapadas de rocío.
Húmedo esplendor de río
que por esquivo me enojas.
Luz que la del sol sonrojas
y cuyos toques son besos,
derramate en mí por esos
ojos con aspecto de hojas.
Ojos que nunca me veis,
por recelo o por decoro,
ojos de esmeralda y oro,
fuerza es que me contempléis;
quiero que me consoléis
hermosos ojos que adoro;
¡estoy triste y os imploro
puesta en tierra la rodilla!
¡Piedad para el que se humilla,
ojos de esmeralda y oro!
Ojos en que reverbera
la estrella crepuscular,
ojos verdes como el mar,
como el mar por la ribera,
ojos de lumbre hechicera
que ignoráis lo que es llorar,
¡glorificad mi penar!
¡No me desoléis así!
¡Tened compasión de mí
Ojos verdes como el mar!
Ojos cuyo amor anhelo
porque alegran cuanto alcanza,
ojos color de esperanza,
con lejanías de cielo:
ojos que a través del velo
radian bienaventuranza,
mi alma a vosotros se lanza
en alas de la embriaguez,
miradme una solo vez,
ojos color de esperanza.
Cese ya vuestro desvío,
ojos que me dais congojas;
ojos con aspecto de hojas
empapadas de rocío.
Húmedo esplendor de río
que por esquivo me enojas.
Luz que la del sol sonrojas
y cuyos toques son besos,
derramate en mí por esos
ojos con aspecto de hojas.
Friday, October 05, 2007
Não te salves
Mario Benedetti-No te Salves
No te quedes inmóvil al borde del camino
no congeles el júbilo
no quieras con desgana
no te salves ahora
ni nunca.
No te salves
no te llenes de calma
no reserves del mundo
sólo un rincón tranquilo
no dejes caer lo párpados
pesados como juicios
no te quedes sin labios
no te duermas sin sueño
no te pienses sin sangre
no te juzgues sin tiempo.
Pero si
pese a todo
no puedes evitarlo
y congelas el jubilo
y quieres con desgana
y te salvas ahora
y te llenas de calma
y reservas del mundo
sólo un rincón tranquilo
y dejas caer los párpados
pesados como juicios
y te secas sin labios
y te duermes sin sueño
y te piensas sin sangre
y te juzgas sin tiempo
y te quedas inmóvil
al borde del camino
y te salvas
entonces
no te quedes conmigo
No te quedes inmóvil al borde del camino
no congeles el júbilo
no quieras con desgana
no te salves ahora
ni nunca.
No te salves
no te llenes de calma
no reserves del mundo
sólo un rincón tranquilo
no dejes caer lo párpados
pesados como juicios
no te quedes sin labios
no te duermas sin sueño
no te pienses sin sangre
no te juzgues sin tiempo.
Pero si
pese a todo
no puedes evitarlo
y congelas el jubilo
y quieres con desgana
y te salvas ahora
y te llenas de calma
y reservas del mundo
sólo un rincón tranquilo
y dejas caer los párpados
pesados como juicios
y te secas sin labios
y te duermes sin sueño
y te piensas sin sangre
y te juzgas sin tiempo
y te quedas inmóvil
al borde del camino
y te salvas
entonces
no te quedes conmigo