Film da salvare
Cento film italiani da salvare
MILANO — Fellini sette e mezzo. E' il punteggio maggiore di un singolo autore nella lista dei «100 + 1» film italiani da salvare come patrimonio nazionale di cultura, come tesoro per capire la nostra storia e la nostra identità. Un c'eravamo tanto amati lungo 36 anni, dal 1942 (409,516 milioni biglietti) al '78 (318,609), dalla guerra al caso Moro.
L'iniziativa, che viene presentata oggi alla Casa del cinema di Roma, parte dalle Giornate degli Autori veneziane gestite da Fabio Ferzetti, che con un gruppo di «commissari» ha scelto cento film che hanno cambiato la nostra vita e popolato la nostra memoria (i documentari di De Seta sono il 101esimo). Lo scopo è di far diventare il cinema materia scolastica e quindi avere gli appoggi, i diritti, i soldi, i restauri, le copie di questi film per farli circolare nelle scuole, ministri e cambi di governo permettendo. Finalmente equiparando i film ai libri o alle sinfonie: noi non saremmo quelli che siamo senza La Dolce vita, il Rex di Fellini o Il Gattopardo di Visconti, senza i Tormenti della Sanson e Nazzari, senza Totò e Don Camillo, senza i Mostri di Risi e di Monicelli, i sorpassi e i soliti ignoti, senza i divorzi all'italiana di Germi, senza Bellocchio o Bertolucci, senza l'italiano medio Sordi, senza l'irrepetibile Mastroianni, L'albero degli zoccoli di Olmi e i Ladri di biciclette di De Sica. Eccetera. Un eccetera si impone perché non è certo facile rinchiudere in cento titoli tre decenni e mezzo ricchissimi di cose memorabili per le stellette dei critici ma anche per il pubblico, l'importanza di costume.
Negli anni 60 il nostro cinema era il migliore del mondo, giocava su tutte le ruote, aiutava il progresso civile con l'impegno di Rosi e compagnia. Nel 1960 uscirono molti capolavori: Rocco e La dolce vita portavano in sala 10-12 milioni di persone ciascuno. Nel '54, anno record, furono staccati oltre 800 milioni di biglietti per lo spettacolo più amato, economico degli anni del dopoguerra, poi imbastardito dall'ingresso delle tv commerciali e dall'uso improprio della fiction. Ma vediamo chi ha passato l'esame.
San Fellini, il mago, porta 7 titoli e mezzo, parafrasando il suo capolavoro e batte il rivale storico, il conte Luchino Visconti con sei titoli; seguono Rosi, Monicelli, De Sica con 5; Rossellini e Risi con 4; Ferreri (ancora in anticipo sui tempi), Germi, Zampa, Bellocchio, Comencini, Pasolini, Zampa e Antonioni (con L'eclisse ma non L'avventura né Blow up) con 3; e Lattuada con 2 e mezzo, firma con Fellini Luci del varietà. Un unico straniero, il francese Duvivier il cui Don Camillo è un pezzo di storia italiana, di compromesso storico. C'è Tinto Brass, quando era arrabbiato e non solo eccitato; ci sono registi dimenticati come Bonnard, Genina, Giannini (l'unico musical ufficiale, Carosello napoletano), il grande Castellani, e Caprioli, Gora ed Emmer con le sue domeniche d'agosto; né manca lo «sdoganato» Matarazzo, autore da domenica pomeriggio al cinema Paradiso.
Facendo la somma la commedia italiana spopola, dalla famiglia Passaguai di Fabrizi e Un americano a Roma di Steno, fino alla Giornata particolare di Scola, che è poi il 6 maggio 1938 e chiude in circolo la storia. Monicelli batte Risi 5 a 4, ma sono due pezzi unici oggi entrambi ultranovantenni. Chi manca? Camerini meritava di esserci, con 40 film disponibili. Forse Gallone, ed anche Nanni Loy è assente ingiustificato. Con 74 film, uno di Mario Mattoli, che poi è il regista di fiducia di Totò, ci stava. E i Taviani? Un film solo, come Soldati. Manca Amelio, ma il Ladro di bambini viene purtroppo dopo, come l'autarchico Moretti; manca Sergio Leone (ma c'è Fantozzi di Salce) i cui western all'italiana vengono invece prima (e seguono con la serie di Trinità). In questo senso sono assenti altri generi nazional popolari come il peplum e il poliziottesco (vedi Damiani) o la commedia scollacciata che ha avuto la sua retrospettiva a Venezia. E poi sono stati maschilisti, manca la quota rosa: nessuna Cavani, nessuna Wertmüller, che pur avevano i requisiti, nessuna signora. Ma molte donne a popolare i sogni di quegli anni, dalla Loren alla Lollo alla Mangano fino a Sandrelli, alla Vitti, la Cardinale: ricambio di misure, mode, costumi.
Maurizio Porro
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