palavras de ursa

Thursday, October 07, 2010

Nobel da literatura

Gomorra, Italia.

Di Mario Var­gas Llosa


I grandi capi della camorra napo­le­tana, i loro killer e i loro con­tabili abban­do­nano i vec­chi com­por­ta­menti e i vec­chi cod­ici per adottare quelli che ven­gono loro attribuiti dai film di Hol­ly­wood. Un esem­pio: a Casal di Principe il capo della «famiglia», Wal­ter Schi­avone, ha voluto che gli architetti gli costru­is­sero una son­tu­osa dimora che ripro­duce al mil­limetro quella abi­tata da Tony Mon­tana (Al Pacino) in Scar­face. Le mogli dei camor­risti si vestono come Uma Thur­man in Kill Bill, con par­ruc­che bionde e abiti giallo fos­fores­cente. E un vec­chio poliziotto ha rac­con­tato, in tri­bunale, che da quando hanno visto i film di Taran­tino i killer delle varie «famiglie» ucci­dono pro­prio come quei per­son­aggi di cel­lu­loide: sparando al basso ven­tre, all’inguine, alle gambe, fer­endo in modo grave per far sì che la morte non arrivi subito e «gius­tiziando», poi, le vit­time con un colpo alla nuca. La camorra non è una sola orga­niz­zazione, ma un nome gener­ico per indi­care le innu­merevoli «famiglie» che, a volte, si alleano per com­piere par­ti­co­lari affari o impon­gono la pro­pria sovran­ità su un ter­ri­to­rio o gestis­cono attiv­ità diverse — immi­grazione clan­des­tina, pros­ti­tuzione, falsi di prodotti di lusso, droga, case da gioco, scorie tossiche ecc. — e che, di tanto in tanto, entrano in con­flitto tra loro ten­tando di annien­tarsi in guerre d’indescrivibile fero­cia. Si tratta di un Sis­tema alla cui base stanno i killer, quelli che spac­ciano in strada ogni genere di stu­pe­facenti, e al cui ver­tice oper­ano finanzieri, investi­tori e indus­tri­ali dal potere enorme, pari al loro tal­ento impren­di­to­ri­ale. Nes­suno meglio della camorra ha saputo uti­liz­zare gli oriz­zonti spalan­cati dalla glob­al­iz­zazione nel campo dell’economia e approf­ittare così bene delle nuove tec­nolo­gie. Un solo esem­pio per spie­gare con quanta effi­ca­cia la camorra ha saputo sten­dere reti che abbrac­ciano il mondo intero. Gomorra, lo stra­or­di­nario libro-reportage di Roberto Saviano, si apre con la descrizione del porto di Napoli dove la mafia sis­tema i cinesi por­tati clan­des­ti­na­mente in Italia per lavo­rare nei vari set­tori in cui si arti­colano le soci­età real­iz­zate con il gigante asi­atico. Un con­sis­tente numero di questi immi­grati arriva a Napoli per imparare, da «maestri» locali, le tec­niche per fal­si­fi­care alla per­fezione scarpe, vestiti, cap­pelli e altri capi della moda ital­iana: le stesse tec­niche ver­ranno poi uti­liz­zate nei lab­o­ra­tori di sar­to­ria cinesi dove si fab­bri­cano i prodotti di Gucci, di Armani e di altri grandi stilisti che, in seguito, l’organizzazione venderà in tutto il pianeta. Le lezioni si ten­gono in locali della mafia, con l’aiuto di traduzioni simul­ta­nee. In un indi­men­ti­ca­bile episo­dio rac­con­tato da Gomorra incon­tri­amo un capo mafioso emozion­ato sino alle lacrime men­tre vede in tv, durante la notte degli Oscar, Angelina Jolie infi­lata in un mag­nifico abito bianco di grande griffe che lui stesso ha provve­duto a far fal­si­fi­care. Non tutte le imp­rese della camorra lavo­rano nell’illegalità; molte si muovono su un piano inter­me­dio, alter­nando attiv­ità legali con altre, dici­amo, infor­mali. Il che si può affer­mare anche per un con­sis­tente numero di aziende legali che, indotte dalla pres­sione ambi­en­tale, dall’avidità o dal ricatto, hanno via via sub­ìto il con­ta­gio dell’illegalità e, dietro una fac­ciata rispet­ta­bile, nascon­dono attiv­ità che si ser­vono del Sis­tema o ser­vono a esso. Il libro di Saviano trasmette l’impressione che questo Sis­tema, invece di con­trarsi sotto i colpi della polizia e della mag­i­s­tratura, avanzi in modo orga­niz­zato infet­tando tutto quanto gli sta attorno. Anche solo con­tando le imp­rese legate al tur­ismo e al diver­ti­mento real­iz­zate dalla camorra sulla Costa del Sol — la Spagna è stata per parec­chi anni la terra promessa per i capi camor­risti, che lì possede­vano ville in cui nascon­de­vano i loro uomini più ricer­cati e in cui tenevano le riu­nioni di lavoro — si ha la scon­cer­tante sen­sazione che, se le cose con­tin­uer­anno così, tra non molto sarà l’economia che si muove nel rispetto della legge a essere in mino­ranza, e il dominio del mondo apparterrà alla camorra, a Cosa Nos­tra, alla ‘ndrangheta cal­abrese e sim­ili. A che cosa è dovuta la capac­ità di pro­lif­er­azione della mafia napo­le­tana? Non certo al fatto che non sia perse­guita. Quest’ipotesi è un mito che Roberto Saviano sgre­tola nel suo libro. Anche se la camorra conta sulla com­plic­ità di politici, uomini delle forze dell’ordine e giu­dici, lo Stato la colpisce senza sosta, incar­cerando i suoi quadri diri­genti, seques­trando i suoi beni, spe­dendo in galera per lunghi anni i suoi killer e i suoi con­tabili. Deter­mi­nante è il ruolo dei pen­titi: gra­zie alle loro con­fes­sioni si sono scop­erti anche i par­ti­co­lari di certe oper­azioni, con­fis­cate astro­nomiche quan­tità di droga, sman­tel­late fab­briche di merce fal­si­fi­cata, smon­tati i cir­cuiti uti­liz­zati per il rici­clag­gio del denaro sporco. Eppure, anche così, il Sis­tema ha rag­giunto tali liv­elli di potere eco­nom­ico, tali capac­ità di adat­tarsi alle mutate cir­costanze e di rin­no­vare i pro­pri quadri che i colpi rice­vuti non bas­tano a met­terne in forse l’esistenza. Per quanto sem­bri para­dos­sale, spesso, in certi paesi e in certi quartieri, può con­tare sull’appoggio d’un vasto set­tore sociale, quello più povero ed emar­ginato, che, iden­ti­f­i­cando nella camorra l’unico mezzo di sus­sis­tenza, la difende, nasconde i suoi ricer­cati, depista le indagini, addirit­tura lin­cia o emar­gina chi osi denun­cia­rla. Una delle sto­rie più com­moventi rac­con­tate da Saviano è la via cru­cis d’una maes­tra di Mon­drag­one che, per aver osato denun­ciare l’autore d’un omi­cidio di cui era stata tes­ti­mone, divenne un’appestata a cui nes­suno più riv­ol­geva la parola, fu retro­cessa nella sua car­ri­era e trasferita in un mis­er­abile paesino dove molte volte, certo, si sarà doman­data se agire da per­sona per bene non sia, nel mondo in cui vivimo, un com­por­ta­mento da mar­tiri o da stu­pidi. E, leggendo Gomorra, viene meno un altro mito. Quello per cui la camorra, nata dal popolo, man­ter­rebbe legami di pro­fonda sol­i­da­ri­età con le pro­prie radici. Il capi­tolo finale del libro è così atroce da far riz­zare i capelli quando rac­conta nei par­ti­co­lari una delle oper­azioni più red­di­tizie per la cri­m­inil­ità e dalle con­seguenze più nocive per i napo­le­tani: il traf­fico clan­des­tino per portare dal Nord Italia i residui tossici indus­tri­ali e sep­pel­lirli nelle cam­pagne. È un’attività che con­sente alla camorra guadagni immensi e com­porta danni smisurati per i con­ta­dini e gli abi­tanti di quelle terre avve­le­nate dagli acidi. Nell’eccellente libro di Saviano c’è, però, un’analisi che non con­di­vido: non credo, come lui, che il fenomeno-camorra sia una realtà con­nat­u­rata al sis­tema cap­i­tal­ista: sec­ondo me ne è un bub­bone, una defor­mazione. Qual­cosa che tutti i grandi stu­diosi della lib­era econo­mia, da Adam Smith a Friedrich von Hayek, hanno indi­cato come pos­si­bile quando l’impresa pri­vata operi in un mondo senza leggi o con leggi dis­at­tese, privo d’una cul­tura e di una morale in grado di sep­a­rare con chiarezza il giusto dall’ingiusto o, per uti­liz­zare ter­mini reli­giosi, il bene dal male. Non è il cap­i­tal­ismo, ma l’Italia a essere corrotta.



Tirado daqui.

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